Quando la giunta ha chiesto al consiglio l’approvazione delle proprie iniziative per il sostegno alle persone in difficoltà lavorativa, il Pd si è astenuto. Spiegando che riteneva quel modo di operare (sostenere in sostanza il “progettone” finanziando lavori socialmente utili che diano temporaneamente uno stipendio a chi è finito fuori dal mercato del lavoro) vecchio sia concettualmente che concretamente.
L. Marsilli, "Trentino", 15 maggio 2017
Perché tampona una emergenza solo per pochi mesi, senza risultati strutturali, e perché in un’epoca che vede in riduzione costante le risorse che l’ente pubblico può dedicare al welfare, non ha alcun futuro. Già oggi si dà risposta a una minoranze delle persone in difficoltà. La risposta di Previdi era stata lapidaria: “facciamo quello che possiamo, sul modello di ciò che hanno fatto le amministrazioni precedenti. Se qualcuno ha idee migliori, sono qua”.
Il Pd lo ha preso in parola. E ora presenta una mozione che nei toni e nelle dimensioni sembra quasi una tesi di laurea. Il titolo è all’altezza: “Un nuovo paradigma di sviluppo economico e sociale attraverso un innovativo sistema di welfare di prossimità”. Brutalizzando: investire sulla comunità perché si faccia attrice di un nuovo sistema economico e sociale locale. Le premesse sono quelle delle critiche in aula: il sistema del passato non è adeguato ai tempi. Si basa sul principio che i privati fanno economia, il pubblico preleva con le tasse parte della ricchezza prodotta e la redistribuisce, sostenendo il walfare. Solo che quel modello ha bisogno di equilibri che oggi non ci sono più. La popolazione non attiva (giovani sotto i 16 anni e anziani non più in età lavorativa) è ormai il 60% del totale ed era il 42% solo nel 1986. Inoltre aumentano l’indice di vecchiaia della popolazione e la frammentazione familiare. Tradotto in soldoni, significa sempre più bisogni (sanitari, assistenziali ma anche sociali) da soddisfare e sempre meno lavoro attivo per pagarli. Tutto questo mentre la mentalità corrente si avvita in un paradosso di egoismo ignorante. Ognuno considera doveroso il rispetto dei propri diritti (che spesso estende arbitrariamente fino al ridicolo) ma contemporaneamente rifugge da qualsiasi dovere solidale nei confronti degli altri. Ma come se ne esce?
Secondo il Pd e la sua mozione, impostando un nuovo modo di fare walfere, economia ed attività sociale. Offrendo alla comunità gli strumenti per ripensarsi e crescere. Investendo nel “capitale sociale” e nella “coesione sociale”. Quindi in concreto, non dare uno stipendio a qualcuno, ma creare un progetto che mettendo assieme associazionismo e imprenditoria privata possa produrre non solo occupazione diretta, ma anche una ricchezza collettiva duratura e degli utili da reinvestire ancora nel welfare. Un esempio potrebbero essere le cooperative sociali che danno lavoro a persone in difficoltà ma per produre beni che il mercato acquista: ce ne sono che ormai si finanziano per il 70% delle spese. Ma anche usare la forza lavoro per recuperare terreni agricoli dai terrazzamenti abbandonati o recuperare dai boschi il legname con cui alimentare una centrale a biomassa. I vantaggi sono per l’ambiente, per la collettività e per gli occupati. E la redditività dei progetti permette di sostenerne altri meno vantaggiosi. «Tocca all’amministrazione individuare le esigenze e le possibilità», dice il Pd. Ma l’idea è questa.