Il 9 maggio è una data comune a tutta l’Europa. Non è una questione di calendario, quanto piuttosto l’opportunità, rappresentata dalla “Festa dell’Europa” che oggi si celebra quasi ovunque nel vecchio continente, per riflettere insieme sulla nostra storia e sul futuro che ci attende.
Bruno Dorigatti, "Trentino", 9 maggio 2017
Ci furono epoche nelle quali l’unità d’Europa era qualcosa di concreto, quasi di scontato, perché si trattava di un sentire condiviso e diffuso. Non esistevano trattati da rispettare o da respingere; non esistevano referendum confermativi o libertà d’uscita da un sistema che era pre-politico e pre-economico. Non si conoscevano le nazionalità e le divisioni segnate dai confini. Tutta l’Europa era un insieme di etnie, di popoli e di aspirazioni in movimento migratorio continuo, finalizzato a commerciare, a trovare lavoro, ad inseguire le profezie e sogni ed a pregare insieme.
E’ la modernità, con il suo portato di complessità e di progresso, che dà avvio ad un’Europa diversa: quella dei regni e degli Stati nazionali prima e poi quella dei nazionalismi, dentro i quali è maturato il marcio frutto dei totalitarismi e da quest’ultimi ben due guerre mondiali. Ci sono voluti insomma milioni di morti prima che l’avvedutezza di culture nuove e di alcuni uomini straordinari come Degasperi, Adenauer e Schuman, provasse a ricucire i lembi strappati delle terre fra l’Oder e l’Atlantico, con un trattato sul carbone e sull’acciaio che doveva essere anzitutto l’avvio di un sogno di ricerca di quell’antica unità perduta. Dalle vestigia del Sacro Romano Impero e dall’esperienza multietnica dell’impero asburgico si è venuta via via elaborando un’idea di “comunità sovranazionale”, capace di allargare pacificamente i suoi confini ed in grado di far sentire tutti gli europei a casa loro in qualunque geografia continentale essi vivessero. Ma, come spesso accade quando i tentativi sono empirici, qualcosa si è perso a lungo andare.
Dall’entusiasmo degli esordi alla stanchezza del presente, resa più acuta da una crisi economica che ha travolto tutto il continente e da spinte centrifughe sempre più forti, è mancato l’appuntamento con quella Costituzione europea che è forse l’unico strumento in grado di attribuire sostanza politica al freddo agire delle burocrazie, che hanno trasformato il sogno iniziale in una meccanica nutrita solo di affari, profitto ed egoismi singoli. E’ così che il disegno unitario scricchiola ormai in modo preoccupante e dice di quanto l’unità europea non possa limitarsi ad essere una mera sommatoria di Stati ed interessi nazionali, alimentati solo da trattati commerciali e finanziari. Ciò che veramente appare inesistente, nell’Europa del terzo millennio, è insomma la cifra politica dell’unità ed è questa che va costruita, per dare un senso non estemporaneo ai valori di solidarietà e di reciproca collaborazione che devono informare i rapporti fra tutti gli Stati membri. Senza quei valori – che oggi ricordiamo in questo momento celebrativo – non solo non c’è Europa, ma non c’è nemmeno futuro. Se, infatti, tutto si ripiega nella gelosa conservazione dei piccoli e momentanei interessi nazionali – o addirittura di parte delle nazioni stesse – allora l’Europa disegnata dai suoi padri fondatori rimane un vuoto contenitore di istanze e di distanze, dove, alla fine, chi perde è sempre e comunque quel popolo europeo in nome del quale ancora qualcuno prova a dividere le coscienze per poi poterle dominare a proprio esclusivo vantaggio.
La salvezza risiede invece nell’edificazione di quegli Stati Uniti d’Europa, rispetto ai quali i singoli Stati divengano ciò che oggi sono le Regioni, perché è la dimensione dei problemi che non è più nazionale, ma continentale. Ogni crisi politico-economica di un singolo Paese coinvolge tutti gli altri, come ci sta insegnando l’amara esperienza della “Brexit”; i nodi dell’immigrazione non sono risolvibili da questa o da quell’Autorità statale, ma solo dall’Europa nella sua interezza; il mercato globalizzato, con i suoi rischi ma anche i suoi vantaggi, non si fa condizionare dai confini nazionali e la moneta unica, anziché un peso, può e deve diventare elemento unitario forte, perché accomuna i destini ed i progressi.
Di fronte allo zoppicare dell’Unione Europea bisogna ritornare quindi alla “grande politica”, la sola che possa realmente essere in grado oggi di forzare i tempi e le iniziative per rendere più concreta, sentita e sensibile quell’originaria idea di unità, che è arricchimento continuo di identità rese invece fragili dall’incertezza del presente; dal terrorismo fermentato nella paura; dall’imperare del capitalismo finanziario, capace di produrre solo bolle gonfie di disastri e di incertezze. Quella di una convinta ripresa della politica è la strada, a mio avviso, per dar corso ad un’Europa nuova e, soprattutto, degli europei e del futuro, anziché delle banche e degli egoismi nazionali. Buon compleanno, Europa!