La vittoria di Macron segna uno spartiacque nella crisi europea, con importanti ripercussioni sulla posizione dell'Italia. Il voto francese ha visto sconfitte le forze antieuropeiste, sia di destra nazionalista, sia di sinistra massimalista. Giorgio Tonini, 8 maggio 2017
Se queste forze fossero riuscite a prevalere, il destino del più importante progetto storico che il Novecento ha trasmesso alla nostra generazione sarebbe entrato in una crisi probabilmente irreversibile. Con conseguenze negative incalcolabili: perfino la pace sarebbe stata a rischio. E invece l'Europa ha vinto, con due terzi dei voti dei francesi, che hanno voluto all'Eliseo il presidente forse più europeista della storia della V Repubblica. La prima conseguenza sarà il rilancio, su basi nuove, dell'asse franco-tedesco. Su basi nuove, perché avrà una connotazione dinamica e non più statica, come è avvenuto negli ultimi anni. Da troppo tempo, l'asse franco-tedesco era diventato il principale freno a qualunque vero progresso sulla via dell'integrazione politica europea. La moneta unica chiedeva una politica economica comune, come ripetutamente messo in evidenza da Mario Draghi.
Ma la politica economica comune era resa impossibile dal veto tedesco a qualunque integrazione dei sistemi economici (che doveva necessariamente comportare anche una progressiva mutualizzazione dei rischi), senza una vera messa in comune della sovranità, attraverso il potenziamento delle istituzioni politiche democratiche sovranazionali. Ma questa condivisione della sovranità era a sua volta bloccata dal veto francese, di fatto imposto dall'offensiva nazionalista della Le Pen, prima a Sarkozy e poi a Hollande, due leader (e due partiti) che hanno pagato a caro prezzo la loro mancanza di coraggio. Con la vittoria di Macron, il veto francese è stato superato di slancio: ha vinto il candidato più europeista e più riformista, autore di un manifesto politico (Révolution), nel quale si propone senza giri di parole un budget per l'Eurozona, per finanziare gli investimenti comuni, aiutare le regioni più in difficoltà e affrontare le crisi, gestito da un ministro delle Finanze dell'Eurozona, che ne risponda ad un Parlamento dell'Eurozona. Questa proposta era già stata avanzata quando fu elaborato e poi approvato il Fiscal Compact. Faceva parte di un pacchetto, definito dall'allora presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, e dal suo ministro, Enzo Moavero Milanesi, da affiancare al Fiscal Compact. Ora viene ripreso e rilanciato dal presidente della Repubblica francese, che a quel negoziato aveva attivamente partecipato. L'asse franco-tedesco può quindi tornare ad essere un motore e non più un freno allo sviluppo di una effettiva integrazione economica e politica europea.
Per l'Italia questa nuova situazione rappresenta un'occasione irripetibile, una sorta di allineamento dei pianeti che potrebbe non ripetersi per anni, se non per decenni. Un vero tornante della storia, che pone dinanzi alle classi dirigenti italiane, politiche e non solo, e in definitiva al paese nel suo insieme, la scelta decisiva se prendere parte attivamente a questo possibile nuovo corso, o se invece consegnarci ad un destino di rabbioso isolamento. Macron tenderà la mano all'Italia. Nel suo libro-manifesto pone ripetutamente l'Italia nella stessa posizione della Germania: sono i due grandi paesi fondatori, insieme alla Francia, ed è dunque innanzi tutto a loro, a entrambi loro, che la proposta francese va rivolta. Anche questa è una "Révolution". Si tratta ora di capire se alla proposta di Macron l'Italia risponderà in modo affermativo, in sintonia con la grande maggioranza degli elettori francesi, o se invece preferirà dare ascolto alle sirene del populismo. Tra pochi mesi sarà questa la decisione storica che gli elettori italiani saranno chiamati a prendere. L'Euro è salvo e l'Europa va avanti. Tocca a noi decidere se con o senza l'Italia nella cabina di comando.
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