Le primarie del Pd sono state giudicate da più parti «un giorno felice per la democrazia». Michele Nicoletti condivide questo giudizio, ma senza nascondere una preoccupazione: «Non possiamo non vedere un collegamento tra chi ha votato “No” al referendum e chi ha scelto di non partecipare alle primarie».
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 4 maggio 2017
Rispetto al 2013, alle primarie in Trentino hanno partecipato la metà delle persone. Significa qualcosa?
«I numeri sono quelli, non li possiamo certo negare. Tuttavia, non parlerei di un “caso Trentino”. In molte delle regioni del Nord, anche “rosse”, le percentuali sono quelle. Allargherei poi l’orizzonte ricordando la fatica che fanno tutti i partiti progressisti in Europa e non solo. Penso agli Stati Uniti, all’Inghilterra. In Francia, la probabile vittoria di Macron si colloca in un campo progressista, ma abbiamo visto le difficoltà dei socialisti. Il Pd ha anche appena subito una scissione».
In Trentino, però, a differenza delle regioni «rosse», della scissione non si è quasi accorto nessuno. Difficile attribuirle un grande peso.
«È vero che, a livello di dirigenti, si è registrato il solo addio dell’ex segretario di Rovereto Lorandi, ma non sottovaluto le ragioni politiche che possono essere state causa di un calo dell’affluenza».
Ragioni più di marketing suggeriscono che le primarie siano uno strumento un po’ logoro, lontane dall’entusiasmo suscitato dalla novità.
«Capisco, ma confesso di non vedere oggi alternative alle tanto vituperate primarie. Bruno Dorigatti ha rivendicato il suo non voto sostenendo che a votare dovrebbero essere gli iscritti. Non condivido per il semplice fatto che, oggi, gli iscritti a un partito politico sono pochissimi rispetto al passato. La Svp, con quasi un terzo dei propri elettori iscritto, a buon diritto riserva i congressi ai soli tesserati. Il Pd del Trentino, però, ha 1.500 iscritti e circa 60.000 elettori. Possono i primi essere rappresentativi dei secondi? Nemmeno i 5 Stelle ci suggeriscono che il futuro vedrà una crescita degli iscritti ai partiti. A me pare comunque significativo che in un clima di odio verso la politica, ci siano state comunque così tante persone che, in una giornata di sole, si sono messe in fila, pagando due euro, per sottoscrivere un progetto politico. Noi la classe dirigente la selezioniamo così. Gli altri non è chiaro come lo facciano».
Lei si è espresso per Renzi. Quali i motivi?
«Ho condiviso la mozione Renzi-Martina perché ritengo sia la migliore piattaforma politica e la migliore leadership collegiale da opporre a Grillo e a un prevedibile ritorno del centrodestra. Capisco chi chiede posizioni più avanzate, magari come Mélenchon in Francia, ma qui come lì non credo siano in grado di articolarsi in una proposta di governo capace di fermare destra e populismo».
Lei non vede un filo rosso collegare il risultato del 4 dicembre al calo di affluenza alle primarie? Allora come ora sono stati soprattutto i giovani ad abbandonare il Pd. L’ottimismo di Renzi funziona con chi a 30 anni non ha ancora un lavoro vero e un reddito dignitoso?
«Il filo rosso c’è e l’interrogativo su un ottimismo che rischia di infastidire va posto. C’è una sacrosanta rabbia sociale che, in questa fase, vede nel Pd il principale responsabile di quanto di negativo c’è nel paese. Il giudizio è sbagliato, ma i problemi delle persone sono veri. Il Renzi che è stato veicolato è parso spesso ispirato a un ottimismo superficiale. Questo ha indotto molti a pensare che i propri problemi non solo non vengono risolti, ma nemmeno sono presi in considerazione e questo genera rabbia. Non va però sottovalutata la necessità di dare speranza e fiducia. Molti investitori stanno abbandonando l’Italia e dare segnali di sfiducia non aiuterebbe».
Dall’analisi dei dati fatta dal Corriere, risulta che l’elettore che domenica ha votato Renzi ha più di 64 anni ed è pensionato: il 47,5% dei votanti. I giovani sono il 10,9% e «solo» il 46% di loro ha votato per Renzi. Vede un futuro?
«Premesso che a me quei pensionati piacciono. Perché sono persone che ne hanno viste nella loro vita, ma comunque ritengono che il Pd sia un’opzione valida, non va negato il paradosso: il partito dell’innovazione e del futuro fatica ad attrarre giovani. Credo che noi si debba procedere sulla strada delle grandi riforme, per le quali ci vorranno anni, ma anche che si debbano dare oggi risposte a chi oggi non vede un futuro davanti a sé».
Il successo di Renzi interrompe la nascita di un Pd del Trentino?
«I due livelli non sono in contraddizione, ma l’approccio non può essere “che schifo il Pd nazionale, facciamone uno locale”».