I valori che accomunano i lavori

Il mondo cambia ormai a una velocità tale che è difficile persino scattare una fotografia: dopo pochi istanti, quell'immagine rischia infatti di non rispecchiare più la realtà.
Bruno Dorigatti, 1 maggio 2017

Per le persone della mia generazione, è sempre più difficile rincorrere i cambiamenti e avere gli attrezzi giusti per interpretare questo vortice di trasformazioni, con il rischio - ormai sempre più evidente - di un cortocircuito generazionale che fa saltare i ponti che, da quando esiste civiltà umana, collegano le generazioni e permettono la riproduzione e la trasmissione dei saperi e delle conoscenze. Nel mondo del lavoro questi processi di accelerazione non solo hanno rivoluzionato i meccanismi di produzione, la geografia occupazionale, i codici del diritto, ma continuano a impattare su di esso rendendolo sempre più cangiante e sfuggevole.
Eppure questa frattura non può essere data per scontata, come un male definitivo e incurabile: perché se è vero che un oceano divide il giovane che si guadagna da vivere attraverso gli straordinari strumenti messi a disposizione dall'innovazione digitale, assumendo la flessibilità come un elemento sostanziale della propria professione, e il lavoratore di un'azienda manifatturiera che, sopravvissuta alla crisi, lo accompagnerà fino alla pensione, è altrettanto vero che qualcosa che unisca questi molteplici poli nei quali sembra essersi frantumato il mondo del lavoro, ci deve essere e va trovato.
Ecco allora che non è un'operazione nostalgica o uno sfizio dal sapore vintage celebrare tutti assieme, la Festa del lavoro del 1° maggio, la Festa delle lavoratrici e dei lavoratori. Una ricorrenza che ha attraversato tre secoli, dall'Ottocento delle rivendicazioni dei diritti di base al Novecento della ridistribuzione e del welfare, fino a questo ventunesimo secolo della globalizzazione, del lavoro immateriale, dei computer e dei robot. È un lungo filo che si snoda tra i popoli e gli stati, da un decennio all'altro e ad ogni latitudine, e che nonostante tutto - gli orrori delle guerre, le ideologie distorte, flussi e riflussi di ogni sorta - ancora arriva a noi e ci impone, almeno per un giorno, di interrogarci su cosa significhi oggi la parola «lavoro».
Non credo sia un caso che un giorno di festa ci permetta di comprendere a fondo la dimensione vera del lavoro. La festa è condivisione, è il momento delle relazioni e della socialità, nel quale stando assieme agli altri si definisce il proprio posto nella comunità al di là dei rapporti strumentali e di interesse: così il lavoro non può essere ridotto al salario, ad un mero scambio di tempo e denaro - come nel caso osceno dell'abuso dei voucher, che ne ha distorto il senso per rendere il lavoro nient'altro che una merce - ma deve ancora essere immaginato come il contributo che ogni donna e ogni uomo possono dare all'impegno collettivo di conoscenza del mondo, e della sua trasformazione.
Le feste hanno in sè il rischio di diventare delle liturgie. Ma questo rischio può essere scongiurato se le si riempie di contenuti veri, nati dal confronto delle idee e persino dai conflitti: quello generazionale, di cui ho detto sopra, ma anche quello tra insider e outsider, tra tutelati e precari, tra uomini e donne, ancora troppo discriminate nel mondo del lavoro. Ricomporre questi conflitti è possibile, e secondo me il punto di partenza dev'essere proprio quello che ridà centralità ad un'unica dimensione valoriale del lavoro: la stessa che può accomunare l'operaio, la giovane free lance, il precario dell'industria culturale, l'immigrato che cerca speranza in Europa, fino a chi il lavoro non lo ha e lo sta cercando.
Una delle chiavi per ricostruire questa dimensione valoriale, questa nuova cifra della cittadinanza, è la partecipazione. Che sia dentro alle aziende, portando finalmente anche in Italia e in Trentino quelle esperienze di coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali tipiche del Nord Europa; che sia nelle comunità, con l'impegno nel tessuto associazionistico che ancora rappresenta la linfa vitale di un territorio come il nostro; che sia nella sfera pubblica, politica nel senso più pieno e alto del termine, mediata dai partiti o espressa direttamente attraverso gli strumenti che la cittadinanza definisce da sé o che sempre più le Istituzioni possono utilizzare per il suo coinvolgimento.
Penso, per fare l'esempio più attuale, al processo partecipativo di riforma dello Statuto di Autonomia promosso dalla Consulta e che coinvolgerà, nei prossimi mesi, tutto il Trentino: è un'occasione unica per rilanciare uno spirito di comunità vero, concreto, pienamente contemporaneo e non basato su miti e retoriche del passato. Che spazio potrà avere il lavoro, la sua dignità e i suoi valori, nel nuovo Statuto, starà alla capacità di tutte e tutti di immaginare il futuro: quello di ognuno di noi, ovviamente, ma in rapporto agli altri, al territorio in cui viviamo, alla comunità che contribuiremo a costruire.
Buon Primo Maggio a tutte e a tutti!