Ru-486, la Commissione non serve

Mattia Civico, "L'Adige", 27 gennaio 2010
Il Consiglio discute oggi una mozione del PDL che chiede l’istituzione di una commissione di studio sulla efficacia e pericolosità della pillola abortiva RU-486.

Sgombero il campo subito. Non c’entra l’essere cattolici o meno: sono contrario in quanto ritengo la proposta strumentale, demagogica e ideologica. La politica deve rispettare l’autonomia dei professionisti della medicina, della scienza e della ricerca. E soprattutto – se il fine è di ridurre il numero di aborti e diminuire il carico di sofferenza che ogni interruzione di gravidanza porta con sé- la commissione di studio è inutile.
Partiamo da alcuni dati oggettivi: ogni anno il Governo riferisce al Parlamento circa l’efficacia di questa legge sull’aborto, la 194/78. La lettura approfondita di queste informazioni ci consegna un quadro in costante evoluzione positiva: in Italia le interruzioni di gravidanza calano ogni anno. Dal 2007 al 2008 vi è una riduzione degli aborti del 4,1% complessivamente e in particolare del 10,7% in Provincia di Trento. Il tasso di abortività in Italia è fra i più bassi tra i paesi occidentali e, in particolare, significativamente più basso è quello relativo alle minorenni ed agli aborti ripetuti.  La legge complessivamente funziona.
Siamo un Paese a bassa natalità, ma anche a basso ricorso all’ Interruzione Volontaria della Gravidanza (I.V.G.). L’aborto non è quindi un metodo contraccettivo. I dati ci consegnano una immagine confortante sul piano culturale, della capacità dei cittadini di affrontare con maturità il tema della contraccezione, della procreazione responsabile, dell’educazione sessuale. Ma un altro dato emerge evidente dalla relazione: le donne che oggi ricorrono all’aborto sono in misura significativa sole e spesso straniere.
E su questo punto è doveroso aprire una riflessione più ampia e seria: la decisione di abortire è sempre una scelta dolorosa che le donne assumono spesso in profonda solitudine. Non è mai una scelta compiuta con leggerezza e –soprattutto- non è mai un evento che si rimuove il giorno dopo. È una esperienza  che porta con sé e in sé un carico di sofferenza . Un peso che grava sulle spalle delle donne, troppo spesso private di un contesto vicino e solidale che permetta loro di guardare alla gravidanza e alla maternità come ad una esperienza possibile.  Troppo spesso oggetto di violenza, fisica e psicologica.
Proteggere la vita è quindi innanzitutto proteggere la donna, garantirle una straordinaria presenza. Ripagarla il centuplo della solitudine e dell’abbandono che subisce. Dobbiamo dirlo con forza: la scelta di abortire è certamente una scelta individuale che va rispettata, ma è una responsabilità collettiva.
Il ricorso all’IVG , considerata una conquista di libertà del mondo femminile, deve oggi interrogare più profondamente l’intera comunità, e in particolare l’universo maschile.  La comunità intera –e l’uomo in particolare- deve assumersi una nuova responsabilità.
Alcune proposte concrete. È necessario un rinnovato impegno nella educazione alla sessualità e alla procreazione responsabile,  con strumenti adeguati ai tempi e ai linguaggi di una comunità multiculturale;  un più efficace intervento di educazione affettiva, con particolare attenzione a contrastare con decisione la cultura “machista” che silentemente giustifica e permette la violenza di genere.
Ed infine: se è vero che ogni vita ha un valore inestimabile, non ha prezzo l’alternativa che possiamo offrire. E l’alternativa risiede nella forza e nella presenza della comunità, capace di proporre politiche sociali, sanitarie ed economiche che rappresentino un reale sostegno: politiche familiari, servizi all’infanzia, reddito di garanzia, lavoro, casa. Alle donne sole, di qualsiasi nazionalità, che portano in grembo una nuova vita abbiamo il dovere di restituire ciò che la vita non ha offerto.  Il resto attiene alla coscienza dei singoli.