Il tema della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, per il tramite dei partiti politici, è di tale rilievo civile, democratico e perfino costituzionale, che sarebbe bene venisse sottratto alla piccola propaganda correntizia e alla modesta polemica quotidiana.
Giorgio Tonini, "Trentino", 5 aprile 2017
Tutti i candidati in lizza al Congresso del Partito Democratico dovrebbero avvertire la democrazia interna al partito, certo imperfetta e perfettibile, come un patrimonio comune dal valore inestimabile, tanto più se confrontato con i modelli gravemente autoritari che prevalgono nelle altre forze politiche italiane, a cominciare da Forza Italia e dal Movimento Cinque Stelle.
Del resto, una delle ragioni fondative del Pd è stata proprio la ricerca di un modello di partito nuovo, che consentisse spazi di partecipazione popolare che la tradizionale forma-partito non riusciva più a garantire. Il Pd è un partito "costituito da elettori e iscritti", recita lo Statuto voluto da Walter Veltroni. Elettori innanzitutto: perché la modalità tradizionale di partecipazione attraverso la tessera è, in Italia e non solo in Italia, in costante declino. Questo è il primo dato sul quale sarebbe opportuno evitare polemiche stucchevoli. A sentire qualcuno, il calo del tesseramento al Pd sarebbe imputabile a Renzi. Sembra di sentire Tremonti quando dice che la globalizzazione è colpa di Prodi. Le cose sono leggermente più complicate. Negli anni '50 il Pci di Togliatti aveva più di due milioni di iscritti; quello di Berlinguer negli anni '70 un milione e mezzo, quello di Occhetto, a fine anni '80, più di un milione. Il Pds è partito con 900 mila ed è arrivato alla fusione con altre componenti di sinistra democratica nei Ds, segretario Massimo D'Alema, con 600 mila iscritti. I Ds hanno tenuto quel livello di adesioni fino alla confluenza, con la Margherita, nel Pd. Sommando iscritti di Ds e Margherita, il Pd avrebbe dovuto avere quasi un milione di tesserati. E invece il Congresso del 2009, quello vinto da Bersani, si è tenuto con 675 mila iscritti. Quattro anni dopo, nel 2013, Renzi ha ereditato un partito con 530 mila iscritti, oggi diventati 450 mila.
La cattiva notizia è insomma che il declino del tesseramento è una tendenza di lungo periodo, sostanzialmente inarrestabile e irreversibile. In tutta Europa: nell'area di centrosinistra, solo il Pd e la Spd hanno più di 400 mila iscritti. I laburisti meno della metà, come pure i socialisti spagnoli. Non parliamo di quelli francesi. La buona notizia è che il Pd ha scelto un'altra strada, quella di valorizzare l'apporto degli elettori e trasformare la funzione degli iscritti. Nel grande tesseramento di massa del passato c'era una fortissima componente di adesione "passiva". Lo dimostrano i dati sulla partecipazione degli iscritti ai congressi del Pds e poi dei Ds. Al Congresso Pds del 1997 (segretario D'Alema) prese parte appena il 24% degli iscritti, (meno di uno su quattro); Fassino fu eletto segretario in un Congresso al quale prese parte il 32% degli iscritti e fu rieletto quattro anni dopo con la partecipazione del 35. Maurizio Migliavacca, allora segretario organizzativo, parlò di una "partecipazione straordinaria". E aveva ragione, perché nessun partito di allora eleggeva il suo segretario coinvolgendo tanta gente. Resta il fatto che la maggioranza delle tessere dei Ds erano deleghe in bianco al gruppo dirigente. Al Congresso di Firenze, che decise la confluenza nel Pd e dunque la fine del vecchio partito, partecipò il 43% degli iscritti: un record, ma comunque una minoranza.
Col Pd, la maggioranza degli iscritti ha sempre partecipato alla elezione del segretario, o meglio alla selezione dei candidati da presentare alle primarie: il 55 per cento nel 2013, il 59 oggi. Dunque, la natura degli iscritti sta cambiando: meno numerosi, ma più attivi. E per questo, forse, anche un po' più liberi dalle appartenenze correntizie, come dimostra il voto "a sorpresa" in moltissimi circoli. Gli iscritti al Pd hanno la funzione insostituibile di una indispensabile infrastruttura stabile, al tempo stesso organizzativa e politica, finalizzata anche al coinvolgimento di una assai più vasta platea di cittadini-elettori. L'iscrizione non è più infatti l'unica modalità di partecipazione alla vita del partito. C'è la possibilità di lasciarsi coinvolgere votando alle primarie: quelle per il segretario, che è anche e indissolubilmente il nostro candidato alla guida del governo del paese, o per le altre candidature alle cariche monocratiche, come sindaci e governatori. Sarebbe bene che la si smettesse di accapigliarsi sui decimali di aumento o calo delle tessere e si cominciasse ad occuparsi dei milioni di cittadini che partecipano alle primarie del Pd, nazionali e locali.
L'errore più grave che mi rimprovero come membro della segreteria di Walter Veltroni è non averlo fatto già allora. Con Fioroni e Orlando, che avevano la responsabilità dell'organizzazione, ripartimmo dalle tessere, in gran parte "passive", di Ds e Margherita, invece di organizzare quella imponente massa di elettori che si era messa in fila per far nascere il Pd ed eleggere il suo segretario. Furono più di tre milioni nel 2007, un po' meno le volte successive, ma sempre una quantità irraggiungibile da qualunque tesseramento tradizionale. Organizzare questa grandiosa fonte di energia civile è ancora oggi la "nuova frontiera" del Pd, la frontiera per la quale passa il suo contributo al consolidamento della democrazia italiana.