Favorevole alla costituzione di un partito territoriale confederato con il Pd nazionale, sostenitore acceso dell’unità della sinistra e della pluralità all’interno del Partito democratico, Michele Emiliano, candidato alla segreteria nazionale dei democratici alle primarie del prossimo 30 aprile, farà tappa oggi a Trento e Rovereto per illustrare la propria mozione: «La precedente segreteria non amava le autonomie — afferma — mentre a me il progetto di un Pd confederato interessa molto».
E. Ferro, "Corriere del Trentino", 31 marzo 2017
Come è nato il rapporto con Andrea Miorandi per la costituzione del comitato a supporto della sua candidatura alle prossime primarie?
«Si tratta di un’amicizia nata sulla base di storie, valori e passione politica comuni, attraverso una telefonata. Una stima reciproca che ci ha consentito di partire per un cammino in salita, di avviare una strada, quella della nostra area del Pd “Fronte democratico”, che vuole tornare a un partito che faccia della partecipazione la propria cifra, restituisca un ruolo alle questioni ambientali, dell’uguaglianza, del lavoro e che rilanci il processo di unificazione europea verso gli stati uniti d’Europa, in cui le autonomie di Trentino e Alto Adige potrebbero avere un rapporto diretto con il governo europeo, non più mediato dai governi nazionali».
Lei favorirebbe un Pd confederato in Trentino?
«Assolutamente sì, anche perché in realtà il Pd ha già uno statuto federale, nonostante questa caratteristica sia stata annichilita dalla precedente segreteria, che non amava le autonomie istituzionali e con la quale il partito non era espressione dei territori, bensì dei rapporti di fiducia fra il segretario e singoli esponenti, tutti della stessa provenienza. Il modello istituzionale che ha dato a Trentino e Alto Adige tanto successo credo debba avere proiezioni anche sull’autonomia del partito e sono convinto che il 30 aprile anche in Trentino ci sarà un’alta partecipazione che ci consentirà di strutturare questo progetto».
L’autonomia, però, è sottoposta a continui attacchi.
«L’idea di rimettere in discussione questa architettura politica e istituzionale mi sembra un errore politico molto grave. Penso che il successo della pacifica convivenza e del modo intelligente attraverso il quale le Province sono cresciute vada proseguito e aggiornato, ma senza stravolgimenti. Gli attacchi sono quasi sempre il frutto irresponsabile di chi vuole sfruttare i nazionalismi, che nella storia dell’Europa non hanno mai portato nulla di buono».
Tornando al Pd trentino, i suoi esponenti sono rimasti sostanzialmente uniti, evitando la scissione. È giusto rimanere all’interno del partito?
«Dividere la sinistra è una grande responsabilità che ci siamo assunti nel tempo con continue divisioni. La mia mozione è una risposta in termini di unità a un processo di dissoluzione della sinistra e del centrosinistra che andrebbe solo a vantaggio dell’antipolitica e del populismo. Quando mi accusano, come capita, di essere populista, credo mi facciano un complimento: nella mia vita politica non l’ho mai praticato, ma quello che ho dentro è un popolarismo, espressione dell’anima popolare della sinistra italiana, del cattolicesimo democratico, del partito socialista, perché in tutte queste aree costituenti il Pd il contatto col popolo era essenziale».
I dem locali, pochi mesi fa, si sono compattati in maniera del tutto uniforme per sostenere il sì il 4 dicembre, congelando le differenze. Il Pd deve tornare plurale? Deve uscire dai tatticismi?
«Credo che una proposta di riforma costituzionale, e questo è stato un errore ammesso dallo stesso Renzi, non possa dar vita a un’indicazione di partito basata sulla disciplina. Se fossimo stati più plurali e ci fossimo dati maggiore agibilità sul referendum, la più grave sconfitta politica degli ultimi vent’anni, saremmo forse meno indietro nei sondaggi e potremmo più facilmente pensare a una rimonta alle elezioni del 2018».
Le sue istanze, almeno per il momento, non sembrano fare presa nei circoli trentini del Pd: ha il 5,5%. Come pensa di recuperare terreno?
«Non prevedevo di ottenere molti voti nei circoli, ci siamo candidati quasi alla fine del tesseramento, il nostro obiettivo è il 30 aprile e sarà tutta un’altra partita. La mia mozione è quella più ambientalista e più rivoluzionaria rispetto al passato renziano e ha consentito al congresso di non ridursi a un confronto senza senso fra l’ex presidente del consiglio e un suo ministro».