Sono sempre di più le famiglie italiane (e trentine) che vivono in uno stato di povertà assoluta: circa 1 milione e 582 mila, pari a 4 milioni e 598 mila individui, così come certificato dall’Istat. Una condizione che si è acuita negli anni della crisi economica ma che ha origini precedenti.S. Pagliuca, "Corriere del Trentino", 19 marzo 2017
«Dobbiamo risalire agli inizi degli anni ’90 per trovare le ragioni del crollo economico e sociale italiano. Un crollo di cui anche il Trentino ha risentito moltissimo e che sarà difficile da arginare» spiega Antonio Schizzerotto, professore emerito di sociologia all’università di Trento e direttore di FBK-Irvapp, intervenendo ieri a una giornata di formazione del Partito democratico. L’analisi del professore restituisce il quadro di un Paese in forte, fortissima, difficoltà: «Per la prima volta, dopo secoli, i figli stanno peggio dei genitori e l’ascensore sociale invece di andare verso l’alto, va verso il basso — chiarisce, specificando che oggi anche l’essere «figlio di» non conta più — il sistema è talmente tanto deteriorato che neppure i genitori di classe alta riescono a proteggere i loro figli dal rischio di caduta sociale». La tendenza, dopotutto, è evidente: precarietà, mancanza di lavori ad alta qualificazione, competizione al ribasso, fanno sì che molte più persone rischino di finire in povertà. Condizione che in Trentino, come nel resto d’Italia, è più diffusa tra le classi operaie rispetto che tra i colletti bianchi ma che, dal 2008, ha iniziato a riguardare in maniera sempre più massiccia anche i laureati. Le cause? La mancanza di azioni adeguate: «La politica ha preferito far fronte alla concorrenza internazionale utilizzando misure tampone, anziché mettere in piedi politiche industriali, più complicate e meno appealing, ma sicuramente più efficaci» riflette Schizzerotto.
Intanto, il governo prova a intervenire sul piano delle politiche sociali attraverso un nuovo strumento: il reddito di inclusione, misura che dovrebbe assicurare un sostegno economico in modo progressivo a tutte le famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà assoluta, a partire dai nuclei con bambini. «È un investimento da 1 miliardo e 600 milioni di euro per il 2017 e 2 miliardi di euro per il 2018: è la prima volta che in Italia si fa un investimento tanto grande» esulta Donata Lenzi, deputata e capogruppo Pd in commissione affari sociali. Già, ma il problema è che neanche una simile cifra sembra bastare. A beneficiare dell’assegno saranno circa 400 mila famiglie, pari a oltre 1 milione e 700 mila persone. Troppo poche. «Ci rendiamo conto che potremo arrivare a coprire solo un quarto delle famiglie, per questo cercheremo di ridiscutere i parametri della legge delega con il ministro Giuliano Poletti» promette Lenzi, che avverte: «Non pensate che il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento Cinque Stelle potrebbe essere più efficace, è anzi assolutamente insostenibile, considerando come sono messi i nostri conti».
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