Autonomia, il Pd adesso dimostri di avere un’idea

Si è aperto un dibattito sulla forma di autonomia che dovrebbe esprimere il Partito democratico in Trentino. Un’accelerazione che risente certamente della crisi aperta nel partito a livello nazionale dopo la sconfitta del segretario Renzi nella consultazione referendaria.
Roberto Pinter, "Corriere del Trentino", 28 febbraio 2017


Come se, mi si passi la metafora, fosse necessario allestire una scialuppa di salvataggio a fronte della possibile deriva della nave. Io non posso che essere favorevole, dato che ritengo l’autonomia a ogni livello un valore in sé. In passato ho provato a sostenere le ragioni di un progetto originale da parte del Pd trentino fino a perdere un congresso — nel quale mi ero candidato a segretario — per non essermi schierato a livello nazionale.

Certamente avere registrato imposizioni nazionali rispetto alla formazione delle liste elettorali, o avere visto accordi con altri partiti territoriali in Trentino senza che il Pd locale potesse dire la propria, o vedere trasformare i circoli in comitati referendari senza condivisione non ha fatto altro che rafforzare la mia convinzione. Ma poiché diffido di chi agita l’autonomia solo quando non sa a che santi appellarsi, preferirei che si discutesse bene del perché sostenere un progetto autonomo e se ne valga la pena. L’autonomia è una bella cosa, ma se non la si declina al meglio rimane una scatola vuota. E oggi in politica abbiamo bisogno di tutto meno che di scatole vuote e di continuare a discutere del contenitore invece che del contenuto.

C’è peraltro una significativa differenza tra i voti raccolti dal Pd nelle elezioni provinciali e amministrative e quelli ottenuti nelle elezioni nazionali, che mostra come una parte dell’elettorato potenzialmente democratico viene intercettato da altre formazioni politiche a livello territoriale o che comunque c’è una parte di voto d’opinione che non viene attratto nella dimensione del governo locale. Per rivendicare un progetto in parte diverso da quello nazionale, occorre essere in grado di assicurare piena rappresentanza politica all’elettorato democratico. Ciò significa radicarsi maggiormente sul territorio e coinvolgere altre realtà politiche territoriali.

Credo però che la domanda da porsi sia: il Pd in Trentino ha qualcosa di speciale da dire? A me piacerebbe che diventassimo più autonomi non per salvarci dalla crisi nazionale, ma per poter contribuire a rilanciare il progetto nazionale. Lo abbiamo fatto raramente, in verità. Un conto è difendere la nostra autonomia speciale dalle incursioni del governo e della politica nazionale, un altro preoccuparci dello scenario nazionale e spendere la specialità in un contesto allargato per elevare la qualità delle politiche.

Ci siamo preoccupati in occasione del referendum, ad esempio, di salvaguardare l’intesa nelle modifiche dello Statuto, trascurando la deriva centralista espressa dalla riforma istituzionale che finisce per indebolire ogni autonomia. Penso che se fossimo buoni interpreti della nostra autonomia provinciale e regionale allora potremmo contribuire, e non poco, al dibattito nazionale e alla ricerca di risposte per non scindere definitivamente il Pd dal popolo democratico e dalla sinistra nonché per trovare una sintesi tra riformismo e bisogno di radicalità.

Non mi riferisco solo alla possibilità, legata alle risorse finanziarie disponibili, di usare l’autonomia come ammortizzatore sociale per ridurre l’impatto della globalizzazione e le ingiustizie che purtroppo la crescita ha portato con sé. Guardo anche a quanto molte volte anche i trentini sottovalutano e cioè agli strumenti dell’autonomia che — combinati con le tradizioni civiche, le risorse e la ricchezza sociale — possono rappresentare una «resistenza» e un progetto alternativo al semplice adeguamento alle politiche dettate dai fondi monetari e dall’economia finanziaria. Un’altra risposta alla ripresa dei nazionalismi, un’altra strada rispetto alla chiusura e un’altro modo anche di rapportarsi all’Europa.

Il riformismo moderato, e il modello fatto di crescita e welfare, non bastano più e hanno perso elettori e consensi. La dimensione di un’autonomia come progetto di comunità, la coesione sociale come antidoto a populismi e intolleranze, la cooperazione, l’associazionismo e la solidarietà come strumenti di cittadinanza, l’innovazione possibile nella pubblica amministrazione, nelle politiche per il lavoro e in quelle formative e per la salute come nella gestione del territorio possono pertanto veramente segnare la differenza. Differenza che va portata però nel dibattito politico, per farlo uscire dall’attuale sconfitta e frustrazione o per impedire che si pensi, come fa Renzi, a rilanciare solo la ricetta della crescita delle opportunità e dell’uomo solo al comando.

Dobbiamo interpretarla e spenderla questa autonomia e certo la mancanza di idee mostrata nella vicenda statutaria o l’ottica angusta nella quale sembra cacciarsi il governo provinciale non sono buoni segnali. Il Partito democratico dimostri di avere un’idea per il futuro della Specialità e allora sarà naturale esprimerla anche con un soggetto politico autonomo, aperto e confederato con il soggetto politico nazionale.