Domenica l'Assemblea nazionale del Partito Democratico si è chiusa con il gusto amaro di una scissione dalle ragioni incomprensibili ai più. Migliaia di militanti e milioni di elettori, in questi giorni, guardano con incredulità e disagio alle lacerazioni del più grande partito italiano e trentino, il cui travaglio non è solo un affare interno, ma riguarda tutto il Paese.
Bruno Dorigatti, 21 febbraio 2017
Davanti allo scenario preoccupante rappresentato dalla Brexit; alle derive populiste, xenofobe e razziste che paiono prendere sempre più forza in Francia e nei Paesi Bassi; alla forte inclinazione a destra dei Paesi scandinavi, tradizionali bacini della socialdemocrazia più evoluta; all'ancora frastagliato quadro tedesco, dove pure la Spd sembra non arretrare, ma dove emergono, con altrettanto vigore, movimenti nazionalisti e di estrema destra; allo sconfortante quadro della democrazia virtuale e drammaticamente populista degli Usa.
Davanti a queste prospettive inquietanti, sembrava di tutta evidenza il dovere del Partito Democratico di tenere alta la bandiera delle plurali culture del centrosinistra italiano, anche quale baluardo ultimo di un'idea sociale ed inclusiva dell'Europa e, al contempo, di mantenere saldo il senso della responsabilità verso il Governo, il suo sostegno ed il futuro del Paese. Purtroppo sembra invece che la direzione scelta sia di tutt'altro indirizzo. Pare insomma che sul valore dialettico dell'unità abbia prevalso la volontà di porre fine al dialogo, e che sul significato della responsabilità collettiva abbiano preso il sopravvento le dinamiche dei destini personali.
Va da sé che simili atteggiamenti non possano essere capiti, fuori dalle strette conventicole dei corridoi e dei meccanismi interni, perché non sono questi i temi all'ordine del giorno del Paese e del Trentino. Il lavoro e la precarietà, le disuguaglianze crescenti e le nuove povertà, la scuola e la ricerca, la sanità e il modello di welfare, l'integrazione e i processi migratori devono essere invece i temi di un dibattito politico che vuole definirsi tale, ed è sull'assenza proprio di questi temi che il Partito Democratico sta, via via, erodendo la base del suo stesso consenso, se è vero com'è vero che le lavoratrici e i lavoratori hanno ormai girato altrove la bussola della loro fiducia e del loro voto. E mentre ci si interroga su formule e formulette, mestamente ci avviamo verso una deriva che è un «dejà vu» e che rischia di aprire le porte, anche qui, all'arrivo dei populismi e degli «uomini forti» dalle ricette facili.
Ma se Roma sceglie la triste via della decadenza e dell'abbandono dell'elettorato, e quindi della possibilità di governare, in Trentino la situazione può ancora trovare soluzioni degne della nostra storia e della nostra specialità istituzionale, sulla base di un'esperienza che - seppur fra chiaroscuri - va riconosciuta alla volontà dei Partiti del centrosinistra autonomista di costruire strumenti e culture coalizionali di lunga prospettiva, che hanno in questi decenni permesso al Trentino di rappresentare una positiva «anomalia» in un Nord Italia incantato dalle sirene del berlusconismo e del leghismo.
Oggi, di fronte a quanto sta avvenendo a livello nazionale, non possiamo lasciare che l'onda del disfacimento travolga tutto, in un uragano di distinguo, di divisioni e di lacerazioni sui dettagli, perché ne verrebbe travolto l'intero Trentino ed il suo futuro.
Se governare significa assumersi l'onere della responsabilità, io sono convinto che adesso è il tempo di formule nuove e di un progetto autonomo; un progetto che può costruirsi anche con gli amici di Bolzano, e fra essi la Svp non può non essere coinvolta; un progetto inclusivo ed aperto al contributo delle diverse sensibilità del centrosinistra autonomista; un progetto che non deve perdere i riferimenti nazionali ed internazionali, ma che, allo stesso tempo, deve saper guardare al domani di questa terra, facendo ancora una volta un percorso anomalo e «pilota», per uscire dalle secche dei bizantinismi dove ci stiamo impantanando.
Profondamente legati al Trentino e all'Alto Adige/Südtirol, ma anche ai movimenti ed alle forze espresse in tutta Europa dalle culture popolari e socialdemocratiche che, nonostante tutto, sono ancora l'unica barriera possibile alla montante e pericolosa marea degli egoismi nazionali, dei localismi retrivi, delle paure che sfociano nell'intolleranza, degli autoritarismi assunti a soluzione dei problemi della democrazia rappresentativa.
I modi, le forme ed i percorsi sono tutti da individuare, mentre ciò che conta veramente è l'affermarsi di una volontà comune e consapevole: avendo ben chiaro che, in questa nuova sfida, i destini personali passano in secondo piano rispetto al disegno collettivo, ed ogni tatticismo elettoralistico va definitivamente messo in disparte. Su tutto, deve prevalere il bene del Trentino: alla politica il compito di trovare le soluzioni, con formule aperte e adeguate alla complessità del nostro tempo.