Il momento della responsabilità

La discussione interna al Partito Democratico nazionale è, a dire poco, inadeguata rispetto alla responsabilità che compete oggi ad una grande forza progressista dinanzi alle sfide del suo tempo. La principale tra esse è coniugare emancipazione sociale e libertà nella globalizzazione, che è destinata a durare ma della quale devono essere corretti gli effetti distributivi.
Alessandro Olivi, "Trentino", 18 febbraio 2017

 

E’ in gioco su questo tema la tenuta stessa dei sistemi democratici. Sempre più sono coloro che considerano la democrazia uno strumento che tutela i già garantiti.

Di fronte all’avanzata di una nuova destra identitaria i progressisti non possono rinchiudersi in una discussione sulle ingegnerie istituzionali e elettorali. Così facendo si rischia non solo di perdere ma di “finire fuori dal campo”, una crisi irreversibile che pagheranno soprattutto coloro che sono i più esposti alle conseguenze laceranti della crisi economica e sociale.

Se i progressisti invece di unire le forze continueranno a specchiarsi nella loro autoreferenzialità verranno percepiti come una élite scollegata dalla realtà, un indifferenziato nucleo dirigente incapace di dare risposte concrete ai problemi reali dei cittadini, sempre più delusi ed esclusi. Oggi le idee guida e le ragioni di quel patto costitutivo tra le culture riformiste che hanno dato vita al Partito Democratico hanno ancora più bisogno di stare insieme. Dividersi significherebbe tornare indietro. Un grande partito della sinistra riformista è vitale proprio quando la società rischia di dissolversi in tanti “io” solitari, la rappresentanza si svaluta, viene meno il filo che unisce l’individuale al collettivo. È oggi urgente dare vita ad un nuovo patto sociale, quasi di civiltà politica, che costituisca un’alternativa credibile alle false promesse della nuova ultradestra che si fa spazio in America, in Europa e che arriverà anche in Italia. Occorre partire a mio avviso da un tema che non ha niente a che vedere con il calendario dei congressi e le mere tecniche elettorali. Mi riferisco al lavoro come strumento di cittadinanza, di realizzazione, di integrazione e di libertà. Serve un piano straordinario per riformare le politiche sociali perché non esiste libertà dell’individuo svincolata dalla sua condizione economica-sociale. Una proposta molto secca: un reddito di inclusione legato a politiche di formazione e promozione dell’occupazione. La vera sfida per una sinistra moderna è infatti non dissociare il reddito dal lavoro e sapere interpretare la rivoluzione in atto nel sistema economico. Le nuove tecnologie non creano più lavoro e pertanto serve una più forte protezione sociale, maggiori investimenti in istruzione e conoscenza per coloro che rischiano di essere vittime di una precarietà permanente.

Se la Sinistra, se il Partito Democratico, non avvertono questa responsabilità e questa urgenza di costruire una alternativa anche culturale, prima ancora che di governo, alle scorciatoie leaderistiche dei movimenti populisti perde il suo senso.

Bisogna avere il coraggio di guidare una fase di nuovo radicalismo dei valori e trasformarlo in riformismo delle azioni. Per questo dividere il campo è semplicemente un atto di egoismo.

Nessuno può comportarsi come se il Partito Democratico fosse una “cosa sua”, mentre invece appartiene al suo popolo, al quale non è possibile scippare tutto, anche i sogni e la speranza!