Se dall’assemblea di oggi il Pd uscirà ancora come un unico partito sarà quasi un miracolo. «Giunti a questo punto, lo spazio della mediazione possibile è molto stretto, ma teoricamente non inesistente», confessa un politico di lungo corso, il senatore Giorgio Tonini, renziano, che ieri ha affidato a Facebook una lunga riflessione.C. Bert, "Trentino", 19 febbraio 2107
«Non deve scandalizzare nessuno, perché la politica è sempre anche lotta per la conquista e la conservazione del potere, che la causa scatenante del conflitto sono le liste da presentare alle prossime elezioni politiche, in particolare i cento capilista bloccati. La minoranza del Pd considera certa la rielezione di Renzi a segretario e teme che lui premierà i suoi fedelissimi lasciando agli altri le briciole. A quel punto, dicono in molti, tanto vale rischiare la scissione». Per Tonini l’unico modo per scongiurarla è un patto: «Ricostruire la fiducia reciproca è possibile se tutti si impegnano pubblicamente al rispetto contestuale sia della regola del pluralismo nella composizione delle liste, da parte della maggioranza congressuale, sia della regola della disciplina nel voto in parlamento da parte della minoranza». Minoranza, attacca il senatore, che negli ultimi anni non si è limitata a criticare il governo ma si è dissociata nel voto in parlamento, anche sulla fiducia, «un comportamento che, se ripetuto, è strutturalmente incompatibile con l’appartenenza ad un partito».
Da un renziano a un bersaniano, che considera Renzi il vero responsabile della spaccatura. Ma anche Bruno Dorigatti dice no alla scissione: «Vorrebbe dire riconsegnare l'Italia alle destre e renderla ingovernabile». Il giudizio di Dorigatti su Renzi è durissimo: «Il Pd si è allontanato dalla sinistra, il mondo del lavoro non ci guarda più. Renzi deve prendere atto della sua sconfitta, le sue politiche che non hanno niente a che spartire con la sinistra». Dopo la sconfitta al referendum Dorigatti era stato tra i primi ad invocare il congresso. Perché oggi allora oggi non va più bene? «Perché quello che propone Renzi non è un congresso, è un giro di tavolo con un risultato scontato, incoronare lui un'altra volta». Ma Dorigatti resta convinto che andarsene non sia la soluzione: «Le scissioni non hanno mai portato bene». E di fronte alle spaccature nazionali vede ancora più urgente, per il centrosinistra trentino, cambiare pelle: «È arrivato il momento di costruire un soggetto più largo, io la vedo come una Union Valdotaine di sinistra, che tenga dentro Pd, Upt e anche gli autonomisti. Un soggetto confederato al Pd nazionale (se tale resterà, ndr) ma che guarda più all'Europa che a Roma. Per anni siamo stati una felice anomalia del Nord Italia, dobbiamo continuare ad essere laboratorio politico».
Ieri a Roma, alla convention «Rivoluzione socialista» di Rossi, Emiliano e Speranza, c’era anche l’ex segretario del Pd di Rovereto Fabiano Lorandi, che ha consegnato un documento per l’unità del Pd (sottoscritto tra gli altri da Roberto Pinter, Andrea Miorandi, Luisa Filippi, Fabrizio Gerola, Nicola Simoncelli): «Oggi più che mai c’è bisogno di un soggetto politico forte che una volta definito il patto di fiducia, stima e rispetto tra le persone che lo compongono, riesca a fare sintesi della diversità delle opinioni e delle proposte, con la consapevolezza che prima di tutto viene il bene del Paese. Fate in modo di evitare scissioni che il nostro popolo non solo non capirebbe ma che non ci perdonerà», è l’appello finale.
«Con immense speranze e tanta fatica abbiamo fatto il Pd. Dovremmo pensare che c’è qualcosa più grande di noi in gioco, più importante delle leadership e dei destini personali», scrive, anche lui su Facebook, il deputato Michele Nicoletti , «gli altri progressisti perdono e non cambiano partito, eleggono leadership moderate o radicali e gli oppositori interni tengono duro. Qualcuno di noi, di fronte alle difficoltà, dà l'idea dei topi impazziti al primo accenno di un possibile naufragio. Poco importa che la scena del mondo sia dominata da Trump, Putin, Erdogan e che in Europa le destre nazionaliste siano sempre più forti: per i progressisti italiani l’esigenza morale suprema sembra oggi essere la resa dei conti. Non avendo il coraggio di combattere le grandi battaglie sociali e politiche del mondo, ci rifugiamo nel torneo di briscola del paese».
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