Il fenomeno della polarizzazione delle condizioni è uno dei lasciti della crisi finanziaria ed economica avviata nel 2008. Quello più evidente ha investito il sistema produttivo: le imprese si sono divise in modo sempre più netto fra chi ha ottenuto performance positive e chi ha manifestato difficoltà sempre più marcate. Generalmente, le prime sono quelle che hanno investito nei processi di innovazione e si sono aperte alle relazioni con i mercati esteri.Daniele Marini Direttore scientifico CMR - Community Media Research, "Trentino", 11 febbraio 2017
Le seconde, invece, sono quante non hanno saputo/potuto innovare e hanno operato esclusivamente sul mercato domestico.Fra questi due poli, lo spazio di manovra ispirato a un’attesa passiva in vista di un miglioramento, ha prodotto solo esiti negativi e fatto scivolare fuori dal mercato. Ora questo processo di divaricazione sempre più netto si sta spostando dal piano del sistema produttivo a quello delle famiglie e degli individui. E tutto fa pensare che avrà una velocità relativamente elevata, di cui già oggi avvertiamo i segnali. È sufficiente consultare gli ultimi dati per verificare l’accentuarsi di un fenomeno di recrudescenza della povertà e di polarizzazione nelle condizioni economiche delle famiglie.
Secondo l’Istat, nel 2015 l'incidenza della povertà assoluta aumenta al Nord sia in termini di famiglie (da 4,2 del 2014 a 5,0%) sia di persone (da 5,7 a 6,7%). Questi dati ci collocano ancora lontano dalla soglia individuata dalla strategia Europea 2020 che ha indicato per l’Italia una quota poco inferiore ai 13 milioni di individui, quando oggi superiamo di molto i 17 milioni. E mentre in Europa mediamente si assiste a un calo della povertà, noi scaliamo verso l’alto la classifica, purtroppo unico caso in cui saliamo nelle graduatorie internazionali. E non solo aumenta l’esclusione sociale, ma anche la distanza fra ricchi e poveri. L’Istat evidenzia come fra il 2009 e il 2014 il reddito in termini reali cali in misura maggiore per le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando così la distanza da quelle più ricche il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte rispetto alle più povere. La polarizzazione delle condizioni economiche, poi, investe anche le famiglie nordestine e, come sottolinea l’ultimo rapporto Caritas del Nord-Est, tale processo scardina le tradizionali categorie sociali che – in precedenza – erano quelle più a rischio di esclusione. Il 50,3% delle persone accolte nelle strutture residenziali delle 15 Caritas diocesane sono italiani, gli stranieri comunitari sono il 5,6%, gli extracomunitari il 44,1%.
Soprattutto tocca sempre più da vicino anche il ceto medio, erodendone le tradizionali certezze. Non è un caso che dopo il voto in Gran Bretagna (Brexit), l’elezione di Trump negli USA e il diffondersi di movimenti populisti che intercettano parti significative di elettorato appartenente al ceto medio, l’attenzione delle istituzioni (si veda il discorso di fine anno del Presidente Mattarella) e della politica verso il tema della coesione sociale stia rientrando nell’agenda politica. Come sia modificata l’appartenenza ai diversi gruppi sociali da parte della popolazione è l’oggetto dell’ultima rilevazione di Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo – Cassa Risparmio del Veneto. L’esito complessivo rimarca la polarizzazione nelle condizioni economiche percepite. Se nel 2011 poco più della metà dei nordestini (54,3%) si ascriveva al ceto medio-alto e alto, oggi solo il 26,4% si colloca nei medesimi ceti sociali. Viceversa, se aumenta leggermente la quota di quanti si identificano nel ceto basso (9,0%, era il 2,7% nel 2011), accrescono significativamente quanti vanno a ingrossare le fila del ceto medio-basso che dal 43,0% (2011) passano al 64,6% (2016).
Dunque, è soprattutto una parte consistente del ceto medio a subire una divaricazione nelle condizioni economiche percepite, sospinte a una mobilità verso il basso, più che verso l’alto. È un fenomeno che investe l’intero Nord Est, ma che presenta esiti diversi nelle tre regioni e, in qualche misura, paradossali. I trentini e gli alto atesini detengono il record del PIL pro capite più elevato d’Italia con 34.856 euro, seppure in leggero calo fra il 2008 e il 2014 (-3,5%), mentre i veneti si collocano all’8° posto (-9,4%) della classifica nazionale e i friul-giuliani al 13° (-11,9%). Pur tuttavia, molto meno degli altri ritengono di appartenere ai ceto medio-alti e alti, sia nel 2011 (29,8%), che nel 2016 (12,0%). A segnalare come la percezione e l’immaginario collettivo talvolta si costruisca in modo disancorato dalla realtà oggettiva. Confrontando le auto-collocazioni nei due periodi è possibile definire la mobilità sociale percepita dei nordestini, ovvero come e se funziona l’ascensore sociale. L’esito ci consegna un paese in gran parte bloccato. Per quasi i due terzi (67,6%) l’ascensore sociale rimane sempre allo stesso piano: nel periodo esaminato (2011-16) non hanno conosciuto scostamenti significativi, al più hanno avuto una mobilità orizzontale.
Ciò è avvenuto, in particolare, in Trentino Alto Adige (80,8%), per i più giovani (68,2% fino a 34 anni), i laureati (69,4%), chi appartiene ai ceti medio-alto e alto (86,6%). Invece, per un terzo (31,5%) l’ascensore sociale è sceso verso il basso, in particolare in Friuli Venezia Giulia (39,4%). Tale discesa coinvolge le persone al crescere dell’età (41,0% oltre 65 anni), chi ha un titolo di studio medio-basso (35,8%) ed è disoccupato (49,6%). Soprattutto, interessa chi appartiene al ceto medio-basso (41,7%) e basso (67,4%). Sono molto pochi (0,9%) coloro che hanno conosciuto una mobilità sociale ascendente e in modo pressoché esclusivo fra chi apparteneva al ceto medio-alto (11,1%). Dunque, per la maggioranza dei nordestini l’ascensore sociale è bloccato. Ma se in Trentino Alto Adige (80,8%) rimane per lo più fermo, in Veneto (31,9%) e Friuli Venezia Giulia (39,4%) diversi sono coinvolti in una discesa. Così, non solo siamo di fronte a una polarizzazione delle condizioni economiche, ma è evidente come – in assenza di possibilità di mobilitazione sociale ascendente – si palesi anche un “effetto spirale” che sospinge verso una marginalità ulteriore chi già si trovava in difficoltà, da un lato. E, dall’altro, risucchi verso l’alto solo quanti occupavano già posizioni elevate. Parafrasando il compianto sociologo Bauman, più che “liquido”, viviamo in un paese “vischioso”, dove l’ascensore sociale funziona poco o, quando funziona, è altamente selettivo. Ripresa economica lenta e mobilità sociale bloccata sono due ostacoli da rimuovere velocemente per costruire il futuro del Nord Est.
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