«Il Pd è in difficoltà in Italia e in Trentino, ma non vedo un’alternativa alla via riformista. Dalle dimissioni di Bozzarelli a Trento e Pallanch a Rovereto non vedo vie nuove». Giorgio Tonini, senatore dem, legge i travagli del partito e rilancia l’opzione europeista.
A. Papayannidis, "Corriere del Trentino", 8 febbraio 2018
Il Pd trentino attraversa una fase difficile: dopo il 4 dicembre non si vede più elaborazione politica e sono riesplosi contrasti e personalismi.
«È un problema di tutto il Pd. Il Pd attraversa una fase di revisione strategica, ci si pongono domande radicali e il 4 dicembre si è dimostrato uno spartiacque: la sconfitta al referendum non ha cambiato i connotati al sistema politico italiano, che sono ormai di tipo neo-proporzionalistico. È molto difficile che dalle prossime elezioni esca un governo legittimato dal voto popolare. E anche la risalita dello spread si spiega con i timori di instabilità per il sistema Paese. Segnali di speranza, però, arrivano dalla Germania e dalla Francia, in antitesi a ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti. Ora, non è che la crisi del Pd di Rovereto e Trento vada letta con Trump. Ma quando le cose vanno male, dopo una severa battuta d’arresto come quella referendaria, ci sono fasi in cui scende l’entusiasmo e prevalgono le spinte centrifughe. È un problema nazionale e trentino».
Su quali opzioni si può recuperare una identità politica che oggi sembra diluita in un dibattito caotico?
«Sul futuro dell’Europa e del ruolo dell’Italia in questa partita. In Germania la Spd potrebbe esprimere il prossimo cancelliere con Martin Schulz, o perlomeno uscire dalle urne con una pari dignità. In Francia Macron può avere grandi chance di successo. Il punto è: cosa può fare l’Italia per essere il terzo protagonista di un disegno nuovo per l’Europa. Nel dibattito su più o meno Europa, il Pd deve schierarsi nettamente per la prima opzione. Da trentini, il riferimento a Degasperi è obbligatorio, direi».
Su scala provinciale e anche regionale, lei ha promosso proprio in un’intervista al nostro giornale un soggetto politico largo, federato rispetto al Pd nazionale. Ma è tutta la coalizione, non solo il Pd, ad attraversare un momento difficile.
«Alcune forze locali, Patt e Upt, hanno stipulato con il Pd un accordo di collaborazione. Certamente dopo la sconfitta del 4 dicembre la posizione di chi ha scommesso sulla partnership del Pd si è indebolita. Addirittura c’è una parte del Pd che sembra quasi salutare con favore la sconfitta del sì. Però mi chiedo: ci può essere un Pd non riformista, che si ritaglia un ruolo di rappresentanza e non si misura sulle riforme, anzi contesta quelle realizzate dal Pd? Ora dobbiamo interrogarci su come essere una forza a vocazione maggioritaria in un contesto che pone problemi di stabilità di governo. E dobbiamo fare i congressi prima delle elezioni, non dopo».
Nel Pd Trentino, il segretario Italo Gilmozzi è stato scelto come figura di equilibrio per garantire la linea del sì al referendum. Ora che la leva della riforma costituzionale è venuta meno, Gilmozzi appare in difficoltà.
«Si dice che il partito che perde paga pegno: le difficoltà sono comprensibili. Ma devo dire che non vedo un disegno alternativo chiaro. Non è che dalle dimissioni di Trento e Rovereto siano emerse prospettive diverse da quelle di un Pd riformista, che lavori a un soggetto più ampio a carattere locale con Upt, Patt e Svp, federato con il Pd nazionale. Elemento, questo, a cui aggiungo la necessità di una innovazione nel personale politico. Io ho già chiarito che non mi ricandiderò».
Sabato l’Upt terrà un’assemblea di rilancio. Lei parteciperà?
«Non so se mi inviteranno e se potrò andare, ma ho grande stima e amicizia dell’Upt. Io sono stato eletto senatore in un collegio con i voti del Pd, del Patt e dell’Upt, e penso che anche l’Upt non abbia molte alternative a un rapporto con il Pd nazionale. C’è tutto lo spazio per ideare forme di collaborazione. È fondamentale che quella forza politica, che forse è la più affine al Pd, vada avanti e cresca».