Arco, il punto nascite e la post-verità

Caro Direttore, la vicenda del punto nascita di Arco è diventata simbolo locale del dibattito sulla post-verità. Si è ormai usciti dalla legittima, anche dura, discussione sulle politiche sanitarie, e si è entrati in una disarmante rappresentazione della realtà che è faticoso smascherare. Lei mi ha invitato a rispondere al Suo lettore, il quale sostiene che la Provincia ha inviato dati errati a Roma, e che non ha comunicato la chiusura di Tione.
Luca Zeni, "Trentino", 3 febbraio 2016

 

Come rappresentante delle istituzioni ho la responsabilità di rispondere degli atti compiuti, ma non è bastato smentire nettamente con documenti ufficiali che riportano numeri, dati, fonti, per zittire le urla di chi accusa. Sul sito lucazeni.it si possono trovare tutti i riferimenti, verificabili da chiunque. La questione è la seguente: è pacifico che nei punti nascita con meno di 1000 parti all'anno aumentano i rischi per donna e nascituro, tanto è vero che già da anni in Trentino si sono accentrati su Trento e Rovereto tutti i parti "non fisiologici", che possono manifestare problemi. Lo Stato, che ha competenza in materia di sicurezza, ha tuttavia consentito alle Regioni di chiedere una deroga per mantenere aperti i punti nascita con pochi parti nelle zone disagiate, ed in risposta alla nostra domanda, ha considerato Cavalese zona disagiata ma non Arco. E non perché si siano forniti dati sbagliati, ma perché presenta oggettivamente caratteristiche orografiche meno problematiche. Ma forse il tema vero è un altro.

Il mondo cambia, cambiano le distanze, cambia la tecnologia. Mio padre da giovane, quelle poche volte all'anno nelle quali si recava a Trento, impiegava ore; oggi dallo stesso paese mio figlio impiega meno di mezz’ora. Questo ha portato modifiche profonde nelle politiche nei servizi, nell'istruzione, nei trasporti, nella pianificazione, in economia. Anche in sanità vale lo stesso. Il medico di famiglia alcuni decenni fa gestiva da solo una comunità, facendo il dentista, l'ostetrico, il pediatra; gli ospedali di valle dovevano far fronte ad ogni necessità. Quel mondo ha lasciato il posto a un sistema a rete dove si devono offrire i servizi al livello più appropriato. Un infarto o un ictus devono essere trasportati nel più breve tempo possibile a Trento; un intervento programmato ortopedico può essere gestito in ospedali di valle specializzati; le cronicità devono trovare risposta vicino a casa in tutto il Trentino. Allo stesso modo, a differenza di un tempo - quando la guardia medica gestiva anche le urgenze - oggi deve essere chiaro per tutti i cittadini che in caso di urgenza emergenza deve essere chiamato il 118 o ci si deve rivolgere al Pronto Soccorso. Le guardie mediche non devono gestire le urgenze, ma sostituire i medici di base: continueranno a farlo con un assetto che porterà ogni presidio a fornire un po' di più delle 3 visite ogni 12 ore che erano diventate la norma in troppe sedi. Il tutto secondo criteri oggettivi che valgono per tutto il territorio provinciale (1 medico ogni 5000 abitanti, distanze, posizione baricentrica).

Il governo della sanità è sicuramente complesso e dobbiamo puntare a migliorare continuamente. Ma la mia preoccupazione maggiore è che le bugie e le urla di chi ha un interesse a strumentalizzare politicamente anche la sanità, porti i cittadini ad avere una percezione sbagliata di un sistema sempre da migliorare, ripeto, ma riconosciuto tra i migliori a livello non soltanto italiano ma internazionale.