«Alle assemblee dell’Ulivo partecipavano anche uomini e donne che non facevano parte dei partiti, fu la novità di quell’esperienza. Oggi nei partiti prevale uno spirito tattico, che si traduce nella fretta di andare a elezioni, o viceversa nella voglia di allontanarle, non mi pare di cogliere quello spirito». Il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi, che in molti danno tra i più probabili candidati alle prossime elezioni politiche, torna però a sollecitare i partiti del centrosinistra trentino a ripensarsi.C. Bert, "Trentino", 31 gennaio 2017
Assessore Olivi, pensa che l’esperienza dell’Ulivo, di cui è tornato a parlare anche Prodi, possa essere riproposta? Quello dell’Ulivo fu un momento in cui i partiti avevano fatto un passo indietro per costruire un luogo più ampio dove coinvolgere cittadini che non facevano parte del ceto politico. Non si è saputo tradurre quella spinta verso un partito a forte trazione maggioritaria, anche se il Pd ha incorporato le forze che facevano parte dell’Ulivo. Non vedo oggi qualcuno tra i principali leader che lavori alla costruzione di quel modello. Mi pare che prevalga uno spirito tattico.
Per arrivare al premio di maggioranza del 40% c’è chi ha evocato un «listone» tra il Pd e il partito di Alfano. Che effetto le fa? Io sono tra quelli che continuano a pensare che le differenze culturali e valoriali tra destra e sinistra esistono, e molti eventi di questi giorni ce lo confermano in modo prepotente: sono diverse le risposte che si danno ai temi dell’uguaglianza, del lavoro, dei diritti, dell’accoglienza. Oggi un listone con dentro tutti, Pd e pezzi di centrodestra, non mi pare possibile. Gli italiani non chiedono ammucchiate, oggi la sfida non è fare alleanze tra partiti e partitini perché uno più uno rischia di non fare nemmeno due. Questo non significa che dopo, alla luce dei risultati, non si possano costruire alleanze. Ma oggi la sfida è cercare alleanze con i cittadini.
Nel Pd D’Alema è tornato ad evocare la scissione. La preoccupa? C’è chi, pur di andare contro Renzi, evoca fratture che sarebbero imperdonabili. In Italia il centrosinistra non è maggioranza culturale e sociale, dobbiamo ricordarcelo sempre. La forza del Pd è ancora nella sua classe dirigente locale, partirei da una cooperazione forte con chi - come Pisapia, Zedda, Merola - ha amministrato e amministra le città. Dagli Stati Uniti alla Francia, le elezioni ci dicono che oggi i nostri elettori premiano la radicalità. I cittadini premieranno una proposta affidabile ma radicale, che non significa radicale di sinistra, ma una proposta chiara e coerente che poi viene attuata.
E in Trentino? Il rilancio della coalizione invocato da tutti stenta a partire, perché? I partiti del centrosinistra autonomista oggi sono tutti concentrati sui propri assetti interni, vittime di un esasperato tatticismo, preoccupati di proteggere quello che ciascuno ha. Questo produce un immobilismo, nell’attesa che arrivi la scossa fisiologica di qualche elezione. Nel frattempo però fuori la gente si allontana e rischia di non capirci più. Io torno a dirlo: oggi tre partiti rischiano di essere troppi nella nostra coalizione.
Perché? Perché è cambiato il mondo e non hanno più la stessa forza di qualche anno fa.
La soluzione è unirsi? Provare a realizzare qualcosa che sia nello spirito dell’Ulivo credo sia utile, mettendo da parte gli egoismi di partito, rinnovando un campo che sta meno nei palazzi e amplia gli spazi di partecipazione. Quello che io immagino è sì un patto tra le forze politiche, in primis Pd e Upt, ma soprattutto uno sforzo per costruire una costituzione materiale dei mondi che in Trentino hanno saputo aggregarsi, penso al Terzo settore, ai mondi cooperativi, alle organizzazioni sociali.
Quanto peserà su questo percorso la contesa sulla prossima leadership della Provincia? Su questo abbiamo dibattuto molto, forse troppo presto, sono il primo a riconoscere che non ha fatto bene perché ha aumentato l’incertezza e le divisioni. Ma certamente lo sforzo di costruire una coalizione politica e sociale deve portare con sè anche il tema della leadership. C’è bisogno di qualcuno che sappia interpretare la dimensione più ampia della coalizione. E chi oggi è in campo, a partire dal presidente della Provincia, deve fare lo sforzo di dare il senso che le istituzioni vengono prima dei nostri destini personali.
Un «papa nero» può aiutare o sarebbe un segno di debolezza? Io sono per valorizzare anche chi non viene dai partiti, ma non cediamo alla tentazione di cercare leader fuori dalla politica. Oggi più che mai c’è bisogno di reinvestire in chi ha cultura politica, competenza ed esperienza. Non di affidarsi ad apprendisti stregoni.
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