È consuetudine di ogni Presidente o Sindaco porre la scadenza dei primi cento giorno come arco temporale in cui si possa misurare la propria determinazione a trasformare in atti concreti il programma elettorale. Il Presidente Trump, tanto per dare un assaggio di ciò che ci aspetta come cittadini del mondo, ha pensato bene di concentrare i cento giorni in meno di cento ore, adottando decisioni ed atti destinati a ridisegnare equilibri politici ed economici in tutto il pianeta.
Alberto Pacher, 30 gennaio 2017
È stato così irruente da spingere persino il premier israeliano Netanyahu, che pure non è propriamente un moderato, a valutare con prudenza l'idea - sciagurata - di spostare a Gerusalemme l'ambasciata americana. La sensazione è che sia asceso al potere negli Usa non solo un nuovo Presidente quanto una nuova modalità dell'agire politico, una modalità che accorcia in maniera estrema la distanza tra pensiero ed azione.
Lo slogan «prima l'America» diventa l'unico filtro attraverso cui fare passare le idee, con un artificioso, pericoloso ma efficace in chiave elettorale processo di riduzione della complessità con cui ogni decisore politico si deve confrontare. Prima l'America, qui ed ora, a qualsiasi costo. È al diavolo tutto il resto. Vedremo come andranno le cose, ma pensò che le preoccupazioni che hanno accompagnato l'ascesa di Trump oggi divengano ancora più legittime.
Possiamo aspettarci di tutto. Così come possiamo aspettarci di tutto da quello che accadrà in Europa nei prossimi mesi. Il 2017 vedrà andare al voto la Francia, con un presidente uscente che ha battuto ogni precedente record di impopolarità, la Germania che pare ancora legata alla Cancelliera, e l'Olanda che vede una radicata presenza di forze populiste. Avere i due principali pilastri del sistema europeo in campagna elettorale non aiuterà certo nel confronto tra l'Unione europea e l'Amministrazione Trump, confronto che richiederebbe stabilità e chiarezza di visione.
Da questo punto di vista credo che chi propende per andare al voto anche in Italia nel 2017 dovrebbe tenere conto di quanto aggraverebbe il quadro avere anche l'Italia in condizioni di instabilità e incertezza. Credo sarebbe molto più prudente lasciare andare a scadenza «naturale» il Governo Gentiloni che, tra l'altro, mi sembra si stia muovendo in maniera accorta e con uno stile che può davvero contribuire a stemperare un clima politico e sociale caratterizzato da fratture e contrapposizioni. Mi sembrerebbe davvero incomprensibile che il Pd non facesse barriera intorno a Gentiloni, che tra l'altro non ha certamente minore legittimazione di quanta ne avesse Renzi per il suo mandato.
Insomma, mi pare che nell'arco di pochi mesi il quadro politico abbia subito, dal sciagurato referendum sulla Brexit, una forte virata verso una crescente complessità ed incertezza.
E sappiamo che spesso quanto più il contesto è instabile tanto più cresce la sensazione di insicurezza di ampi strati di popolazione, e questo spiana la strada verso le formule politiche più schematiche, comprensibili e rassicuranti.
Credo che ci vorrà molta prudenza ma anche molta capacità di proporre chiavi di lettura in grado di non imbrogliare nessuno - proponendo risposte semplicistiche a problemi complessi - ma anche di essere «inspiring», cioè di proporre un quadro narrativo nel quale riconoscersi.
Francamente non so se oggi nel nostro Paese ci sia un pensiero politico «di area democratica» in grado di fare questo. Spero davvero che il Pd porti avanti una riflessione collettiva sulle ragioni della sconfitta al referendum del 4 dicembre: mi sembra che dentro quel passaggio ci siano tutti gli elementi per capire in cosa è mancata quella proposta politica e quali possano essere le vie di uscita. In altre parole, non serve a nulla dire «ora si deve tornare tra la gente» se non si capisce perché in questi anni non si è stati tra la gente.
In questo quadro si inserisce il processo di ridefinizione dello Statuto di Autonomia, della nostra Autonomia. È un processo che si è avviato in una situazione per certi aspetti singolare. Al percorso partecipato avviato con e dalla Consulta, buona cosa, non mi pare si stia affiancando un parallelo processo ideativo da parte della politica trentina, delle singole forze politiche e delle coalizioni. Non capisco come un simile percorso possa prescindere dall'apporto di una chiave politica di lettura della nostra Autonomia.
Certo, il governo provinciale sta portando avanti col Governo (meglio, i Governi) un confronto positivo che ha permesso di estendere in maniera significativa il perimetro delle nostre aree di autogoverno. Ma anche questo avviene nel silenzio della politica, delle forze politiche, in una sostanziale afasia politica. È non credo che questo dipenda dalle difficoltà interne che appesantiscono la dialettica politica nel Pd, UPT e Patt. Anzi, credo che almeno parte di queste difficoltà siano originate, in particolare nel Pd, proprio da questa debolezza del pensiero politico, dalla inintelligibilità della propria visione politica riferita al Trentino.
Penso che questo non dipenda dai protagonisti della politica, dalle persone. Credo che questo dipenda dal fatto che nessuna forza politica, nessuna proposta politica, ha oggi la ampiezza e profondità di visione per riuscire a contenere la complessità che una idea di Autonomia «moderna» richiederebbe. Ogni forza politica dello schieramento di governo è ispirata da una propria chiave di lettura del Trentino e della sua Autonomia, ma mi sembra si tratti di prospettive particolari che faticano ad intrecciarsi su una trama di visione politica d'insieme.
A me pare che, oggi più che mai, il Trentino abbia bisogno di una visione di sé e del proprio futuro.
Che i trentini ne abbiano bisogno. Bisogno di sapere dove si è e dove si potrà andare, e su quali principi. In altre parole, di una proposta politica di visione che oggi si fatica a cogliere nel dibattito politico. Come spiegarsi altrimenti la sensazione di incertezza che traspare dal dibattito politico di queste settimane?
Viviamo in una provincia che occupa stabilmente i primi posti in molte delle scale con cui si misura la qualità della vita, efficiente e ben considerata da chi la conosce per lavoro, studio o turismo. Potendo scegliere, molti preferirebbero dover ricorrere al sistema sanitario in Trentino piuttosto che in qualsiasi altra Regione. È via dicendo.
Eppure la coalizione di Governo, che è sostanzialmente la stessa che da circa vent'anni amministra il Trentino è che quindi può legittimamente attribuirsi un ruolo importante in questa crescita, lascia trasparire una certa incertezza che si è recentemente manifestata nel dibattito sull'apertura alle tante Liste Civiche che governano molte realtà del nostro territorio. Non credo che sia questa la strada per rinforzare la coalizione di governo. Certamente il fenomeno delle liste civiche è interessante, e alcune di queste si sono aggregate o hanno espresso amministratori - come il Sindaco Valduga - che mi pare diano buona prova di sé. Però credo ci siano almeno due aspetti che ridimensionano la portata di questa prospettiva. Il primo è che il voto alle liste civiche è, appunto, civico, legato a quel contesto ed a quella persona, e credo sarebbe una illusione pensare che quel voto sia transitivo, veicolabile su una proposta a carattere più generale in maniera automatica. Il secondo, più importante, è che la coalizione non ha bisogno di «espandere» il proprio perimetro politico quanto di approfondire, densificare, la propria visione, di renderla più comprensibile ed evocativa. Ma soprattutto di crederci. Se poi in questa visione politica si ritroveranno anche dei protagonisti delle esperienze civiche, perché no?
Non so se la configurazione attuale del sistema politico dell'area di governo sia e sarà in grado di fare questo passaggio. Anche concettualmente non sono sicuro che una Autonomia più matura, ampia e profonda, che potrà fare del nostro Trentino sempre più un vero piccolo stato che trarrà la sua forza dalla profondità del sentimento identitario della propria gente, possa essere pensata è gestita da una politica così configurata.
Forse sarebbe possibile affiancare al pensiero su «quale Autonomia per il Trentino» un pensiero su «quale politica per la nostra Autonomia». Forse una Provincia sempre più speciale ha bisogno di una politica altrettanto speciale, un'offerta politica che sia espressione, anche simbolica, di questa Specialità. Anche andando oltre le appartenenze nazionali, per definirsi meglio in chiave locale. Per molti di noi il locale è spesso stato confuso col localismo, nella convinzione che ogni rivendicazione di specialità, ogni focalizzazione identitaria in chiave territoriale non potesse essere che il preludio a chiusure, egoismi, e, per tornare all'inizio, al «prima noi». Non è necessariamente così, ci sono esempi di forti identità locali e di forze politiche che di queste identità sono espressione, capaci di proporre una visione aperta, innovativa, anche solidale. Il nazionalismo catalano, ad esempio, vive su un altro pianeta rispetto al gretto nazionalismo ungherese o all'ukip inglese. Non dobbiamo avere paura di noi stessi, del Trentino. La nostra è terra, pur con tutte le contraddizioni che pure esistono, di solidarismo diffuso e capillare, di responsabilità. In fondo sono queste caratteristiche che la rendono davvero «speciale».
La nostra Autonomia è e dovrà essere espressione «costituzionale» di questa specialità che dovrà diventare sempre più anche identità e per farlo dovrà poter contare su una proposta, una forma e dei simboli politici che siano anch'essi davvero speciali.