La puntualità con la quale il 27 gennaio di ogni anno il «Giorno della Memoria» torna a bussare alle porte dell'anima europea ci impone alcune riflessioni: non un semplice tributo di circostanza, ma uno stimolo per un ragionamento più ampio.
Bruno Dorigatti, 27 gennaio 2017
Una ricorrenza capace di chiamare al confronto l'intera società italiana ed europea su tematiche di straordinaria rilevanza, come quelle del riconoscimento dei diritti individuali, della libertà di culto, della coesistenza pacifica di popoli e culture diverse.
La crescita dei fenomeni di estrema destra un po' ovunque; la ripresa dei linguaggi del razzismo e della xenofobia, che colorano ormai a tinte fosche le cronache quotidiane; il revisionismo storico e il negazionismo; il ritorno dei nazionalismi e degli isolazionismi, confermano ormai un'opinione non nuova, quella cioè della rinascita delle ragioni stesse che portarono allora all'abisso della Shoah ed all'Olocausto. Le condizioni delle contrade d'Europa non sono infatti molto dissimili da quelle del periodo posto a cavallo fra le due guerre: disoccupazione crescente e soprattutto giovanile, disagio e conflitto sociale, spinte centrifughe rispetto ad una cultura unitaria dell'Europa, populismi di ogni sorta, leadership nazionali deboli e derive dell'economia, con l'aggiunta di fenomeni, allora non presenti, come quelli dello scontro ideologico-religioso e dei grandi flussi migratori. Di qui l'urgenza di fare Memoria, ben sapendo che è solo quest'ultima a potersi trasformare, dentro le coscienze, in antidoto adatto a rafforzare quegli anticorpi democratici in grado di combattere i germi dell'odio, della violenza e del razzismo.
Concordo pienamente con chi ha detto che il «Giorno della Memoria» non riguarda soltanto gli ebrei e le vittime del delirio nazifascista, che ne sono parte in quanto massacrati. Questa giornata deve essere dedicata alla comprensione, nella consapevolezza che la vicenda dell'ebraismo italiano ed europeo è un paradigma di altre attualità, perché è una storia fatta di accoglienza e di rifiuto, di integrazioni e di espulsioni, in una dinamica, spesso tragica ma a tratti anche felice, con il mondo che le si sviluppa attorno.
In un tempo come quello che stiamo vivendo, sempre più costretto al confronto con tante diversità, il «Giorno della Memoria» diventa allora uno strumento utile a capire, a conoscere, a verificare i parallelismi della storia, a prendere coscienza di ciò che è accaduto solo settant'anni fa, fino a sentirsi parte della storia rievocata da questa ricorrenza, traslando la lezione orribile di quei dodici anni che cambiarono il volto dell'Europa al presente, per trovare i segni del rischio della ripetizione.
Forse fino ad oggi non si è fatto abbastanza. Forse si è ritenuto che bastasse raccontare i drammi e le tragedie, per trasformare quella narrazione in un atto di apprendimento collettivo. Forse si è sottovalutato il legame stretto che corre fra la crisi di questi anni e la riscoperta di antiche «ricette» populiste e demagogiche. Forse non si è valutato appieno l'impatto culturale, prima ancora che commerciale e politico, che fenomeni come la Brexit possono scatenare, dando vita ad un processo a catena capace solo di farci ritornare indietro nel tempo e di dividerci, ancora una volta, nel dondolio mortale dei nazionalismi e delle paure.
Il «Giorno della Memoria» non è insomma la celebrazione di un rito, ma il richiamo al dovere di imparare la lezione della storia in ogni suo dettaglio, per progredire in pace, anziché ricadere nella violenza senza fine degli odi contrapposti.