Poca visione, ma soprattutto troppe diffidenze reciproche. È severo il giudizio di Bruno Dorigatti sullo stato del centrosinistra autonomista alle prese, da giorni, con il dibattito sull’apertura ai mondi civici.
C.Bert, "Trentino", 14 gennaio 2016
Presidente Dorigatti, da Olivi a Dellai a Passamani, in tanti ripetono che questo centrosinistra autonomista non basta più. È d’accordo? Da dove nasce la crisi della coalizione? Pensare di arrivare al 2018 con questo grado di diffidenze reciproche, di incertezza del disegno complessivo, sembra essere il prologo alla sconfitta di un modello di governo che, pur con tutti gli errori, ha fin qui retto il Trentino, e ci ha consentito di affrontare la crisi epocale senza pagare prezzi sociali troppo pesanti.
Cosa serve per un rilancio? Serve un ripensamento complessivo, che non dev’essere un giudizio su singole figure, ma un momento di riflessione sereno e aperto, con lo scopo di dar vita non tanto ad un restauro dell’esistente, ma ad un progetto nuovo per un tempo nuovo.
Su cosa dovrà concentrarsi questo progetto? Il risultato del referendum costituzionale ha evidenziato un disagio diffuso e spalmato su quasi tutte le classi sociali, ed è a questo disagio che la politica deve anzitutto offrire risposte. Dobbiamo ritornare a occuparci a tempo pieno dei temi del lavoro e dell’occupazione giovanile, della cultura e della scuola, che sono le uniche vere “officine del futuro”, e dei flussi migratori, non risolvibili con le fantasiose promesse dei demagoghi. È su questi temi, come ha detto anche Olivi, che va raccolta la coalizione, per elaborare un progetto di governo all’altezza dei tempi. E poi dobbiamo rimettere in moto l’autonomia, rilanciare i rapporti con Bolzano e Innsbruck, proseguire nel disegno di un nuovo statuto, individuare un ruolo moderno per la Regione.
Pensa anche lei che sia utile una federazione tra Pd e Upt? Il tema torna quasi in forma ciclica dal 2008, quando nacque il Pd del Trentino. Oggi torna di attualità ed è un bene, perché mai come oggi è necessario un ripensamento sui progetti ma anche sugli strumenti. I partiti sono mezzi, non fini, e devono sapersi adeguare alla realtà. Oggi i partiti sono sordi e muti: non solo non sanno ascoltare ciò che emerge dalla società, ma non sanno nemmeno più parlare la lingua concreta della politica.
Il segretario Upt Mellarini ha però chiuso all’ipotesi... Chiudere al confronto mi sembra affrettato e miope. L’ipotesi federativa non pregiudica le identità, può servire a far prevalere gli elementi di convergenza su quelli di divergenza, dando vita ad un soggetto politico ampio capace di dialogare, con la necessaria forza, sia con il livello nazionale, sia con il civismo locale. La stagione dell’Ulivo del resto, come modello federativo di storie politiche diverse, ha rappresentato uno dei momenti di maggior successo del centrosinistra italiano e trentino.
Lei è dunque convinto che il dialogo con i sindaci civici vada aperto e in che modo? Il civismo non ha qualità taumaturgiche, ma non può essere nemmeno sottovalutato o demonizzato: va trattato con il rispetto dovuto ad ogni realtà politica che voglia occuparsi di futuro. L’importante è non cadere nell’errore di pensare che basti dialogare con alcuni rappresentanti del civismo per colmare il vuoto con gli elettori: è ai cittadini scontenti che bisogna rivolgersi con una proposta credibile.
A sinistra Giuliano Pisapia sta lavorando a un soggetto che si allei con il Pd. Lei è interessato? Per me il Pd del Trentino sta perdendo una grande occasione: si è chiuso in sé stesso e ha rinunciato al cambiamento. Ma è ancora uno strumento utile al quale molti cittadini guardano con speranza. Una speranza che va ricambiata valorizzando una nuova classe dirigente che sappia aprire un dialogo soprattutto con una generazione che ha voltato le spalle alla politica.