I sì per il governo Gentiloni, ieri a Palazzo Madama, sono stati 169. «Come Renzi il 24 febbraio 2014» ha subito osservato più di un senatore. Otto voti in più della maggioranza minima non rappresentano certo una maggioranza solida.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 15 dicembre 2016
Non a caso, Matteo Renzi costruì la discussa alleanza con Denis Verdini, forte con Ala di 18 voti al Senato. Gentiloni, salvo ricuciture al momento tutt’altro che escluse, non ne disporrà.
Questo significa che i voti del gruppo Autonomie (16 contando tutti) saranno assolutamente determinanti per la tenuta del governo. «Non ci montiamo la testa» assicura il capogruppo Karl Zeller (Svp).
Restringendo il campo al solo interesse immediato delle Province autonome, la crisi di governo non poteva risolversi meglio. Non solo perché sono rimasti in sella i ministri «chiave» (Delrio per la concessione di A22, Lorenzin per i Lea della Protonterapia) e perché — anche se nessuno lo dichiara apertamente — Gentiloni è considerato più attento all’autonomia di Renzi-Boschi, ma anche perché con una simile maggioranza al Senato, fare uno sgarbo al Trentino Alto Adige (7 senatori) significa rischiare. Finché durerà l’attuale assetto, le Province autonome saranno coccolate.
È stato le stesso Zeller, in occasione delle consultazioni, a mettere sul tavolo di Gentiloni le preoccupazioni di Trento e Bolzano: l’approvazione delle norme di attuazione in itinere, la conclusione del rinnovo della concessione autostradale per A22. Ci sarebbe poi la madre di tutte le battaglie: la «blindatura» dell’autonomia attraverso il contestato disegno di legge Zeller, teso a rendere primarie per le Province le competenze oggi concorrenti con lo Stato. «Non ci sono più i tempi tecnici» osserva sconsolato il senatore della Svp, che nei lavori della Convenzione e della Consulta non ha mai creduto troppo. «Anche se si andasse a votare alla naturale scadenza del mandato, intorno a gennaio verrebbero sciolte le Camere. Un anno è troppo poco per far approvare una norma di rango costituzionale». Non perché, anche in meno di un anno, non si possa andare a una duplice lettura conforme, ma perché ben difficilmente ci saranno le condizioni politiche per una simile accelerazione. «La commessione affari costituzionali — osserva Vittorio Fravezzi — sarà già piuttosto impegnata con la nuova norma elettorale. Non facciamoci illusioni».
Analoga l’opinione di Franco Panizza: «Quasi impossibile. È vero che oggi abbiamo un peso considerevole in Senato, ma il clima resta teso nei nostri confronti». «Meglio concentrare le energie su cose possibili — suggerisce Zeller — La norma di attuazione sul personale della giustizia e quella in materie di agenzie fiscali si possono portare a casa». «Come senatori — precisa Fravezzi — rappresentiamo tutto il paese e le logiche mercantili non ci interessano. Se le nostre scelte politiche fossero state altre, oggi non saremmo comunque determinanti. Questo non significa rinunciare a difendere le legittime aspettative dei nostri territori». «Noi — aggiunge Panizza — non abbiamo nemmeno chiesto posti nel governo, siamo più interessati ad avere le mani libere. Certo, se qualche rappresentante della regione entrasse nell’esecutivo non potremmo che rallegrarcene». Il primo obiettivo è far promuovere Gianclaudio Bressa da sottosegretario agli Affari regionali a viceministro con delega alle Speciali. Poi ognuno giocherà le proprie carte. L’esecutivo dovrebbe essere definito entro lunedì. I nomi sono quelli di sempre: Giorgio Tonini, ma lui nega, Lorenzo Dellai, ma non pare ci siano spazi e nemmeno che l’interessato sgomiti.