L'appuntamento del 4 dicembre, preparato e atteso per mesi, è ormai alle nostre spalle ma non ci ha lasciati indifferenti. Così come tutta una comunità si è mobilitata per capire, per approfondire, per confrontarsi, per discutere e così per prepararsi a ben decidere, ora è comprensibile che se non tutta la comunità, almeno quella sua parte che ha visto rifiutare la propria proposta si interroghi con serietà sulle ragioni di tale rifiuto, sulle conseguenze che ne potranno derivare e sul nuovo cammino da intraprendere per costruire un futuro buono.
Donata Borgonovo Re, 9 dicembre 2016
La tentazione è quella di semplificare, riducendo l'espressione della volontà popolare ad un giudizio fortemente negativo non già sui contenuti della riforma bensì sul governo in carica che ne ha promosso e sostenuto il percorso in Parlamento. Forse per una parte degli elettori il voto doveva servire a «mandare a casa Renzi», ma non per tutti è stato così.
Ascoltando chi esprimeva il proprio pensiero critico nei numerosi dialoghi tra i sostenitori del no ed i sostenitori del sì cui ho partecipato, era evidente la presenza di una sincera preoccupazione per la salvaguardia della Costituzione: soprattutto i più giovani guardavano con diffidenza alla complessità dei cambiamenti proposti, timorosi di scoprire - nelle pieghe di tale complessità - quei rischi di «deriva autoritaria» paventati a gran voce da una parte dei detrattori della riforma.
Non è servito a molto suggerire di allargare lo sguardo per riscoprire la ricchezza argomentativa e la grande libertà di pensiero e di proposte che aveva caratterizzato il dibattito in Assemblea costituente, soprattutto laddove si provò a disegnare un bicameralismo differenziato e si immaginò di rendere possibile il desiderato equilibrio tra rappresentanza e governabilità, nella consapevolezza che «le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici» (come disse Calamandrei).
Di fronte al linguaggio piano e comprensibile usato dai Costituenti (che però avevano accettato di non inserire nella Carta regole stringenti a garanzia della stabilità del sistema democratico affidando tale compito «all'azione dei grandi partiti democratici», come spiegò Amendola in Assemblea), lo sforzo del legislatore contemporaneo - così prolisso, talvolta forse confuso, certo di non agevole lettura - è apparso inadeguato allo scopo. Se la Costituzione è la Carta fondamentale della nostra convivenza deve poter essere letta e compresa da tutti, non solo dagli addetti ai lavori: così ci siamo sentiti dire, ed a nulla è valso ricordare che alla complessità dei problemi cui dobbiamo far fronte nel mondo di oggi corrisponde una altrettanto complessa varietà di soluzioni. E che certo, la nostra classe politica è dotata di strumenti ben diversi da quelli a disposizione di chi guidò l'Italia nel secondo dopoguerra. Noi cittadini d'altronde siamo diversi dai cittadini di allora? E dunque ripartiamo da qui. Dal fatto che, per una pluralità di ragioni, i cittadini italiani - riscoprendo felicemente l'esercizio della loro sovranità e vincendo di slancio quella sorta di pigrizia da viziati che in molte altre occasioni li aveva tenuti lontani dai seggi elettorali - hanno deciso di bocciare la riforma votata dai loro rappresentanti in Parlamento.
La partecipazione così consistente all'appuntamento referendario è già un effetto positivo da valorizzare, e bisogna ringraziare la generosità dei tanti che si sono impegnati sul territorio per portare ragioni e ragionamenti il più vicino possibile alle persone, suscitando interesse, ascolto e discussione e permettendo il pieno esercizio della democrazia? che è, prima di tutto, «dialettica di ragionati contrasti» (e cito ancora Calamandrei, fonte inesauribile di ispirazione per molti!). Ripartiamo da qui: da questa riscoperta passione per la Costituzione e per il dibattito pubblico che potrebbero essere messi al servizio di un ulteriore passo avanti di tutta la nostra comunità nazionale.
Potremmo prendere esempio dall'esperienza recentemente svoltasi in Irlanda, dove una Convenzione per la Costituzione - costituita per due terzi da cittadini sorteggiati e per un terzo da parlamentari - ha ricevuto dal Parlamento il mandato di esaminare alcuni temi specifici e di elaborare delle proposte modificative del testo costituzionale da sottoporre a referendum popolare (che è l'unico modo per modificare la Costituzione, scritta nel 1937). Tale innovativa procedura partecipativa ha consentito di giungere ad un risultato forse inatteso, quale è stata l'approvazione del diritto costituzionale di contrarre matrimonio «senza distinzione di sesso» avvenuta nel maggio 2015 ed ha mostrato come sia possibile, e soprattutto efficace, coinvolgere i cittadini nella fase di elaborazione delle modifiche costituzionali. In questo modo, si riesce a sgombrare il campo dalla diffidenza (così fortemente e drammaticamente radicata in molti di noi) verso i titolari del potere costituito e, contemporaneamente, si consente ai non eletti di entrare nella complessità dei problemi che si affrontano, le cui soluzioni vanno cercate anche a costo di abbandonare abitudini e sicurezze apparentemente consolidate. Senza coraggio e senza fantasia non c'è futuro: i Costituenti lo sapevano bene ed ora tocca a noi cercare una strada nuova, per non restare schiacciati troppo a lungo da quei vecchi problemi cui la riforma ha tentato, senza successo, di porre rimedio.