Michele Nardelli, 31 dicembre 2009
Le immagini e le informazioni che riescono ad uscire fra mille difficoltà dall’Iran descrivono un paese sull’orlo della guerra civile. Il susseguirsi di manifestazioni dell’opposizione democratica e di mobilitazioni a difesa del regime di Ahmadinejad ci parlano di un paese profondamente diviso.
In questa divisione non c’è da una parte un’oligarchia di potere conservatrice e dall’altra il popolo. Certo in Iran con la caduta dello Scià e soprattutto con la guerra contro l’Iraq degli anni ’80 si è formato un blocco di potere formato dalla casta dei militari e della parte più conservatrice delle gerarchie religiose, con un forte ascendente (e consenso) sulle aree rurali. Ma l’Iran, contrariamente allo stereotipo che si tende ad accreditare, è un grande e complesso paese nel quale accanto alla conservazione sono cresciute le istanze democratiche e progressiste che trovano nelle città e nelle università una spinta irriducibile.
Queste due facce del paese si sono confrontate dal 1979 ad oggi e non a caso lo scontro è oggi ad ogni livello, coinvolgendo anche le istituzioni della repubblica islamica iraniana. La ricerca di un compromesso politico è dunque decisiva se non vogliamo che lo scontro in atto si trasformi in un bagno di sangue. Non una nuova rivoluzione per l’abbattimento del regime degli ayatollah, ma la democratizzazione nonviolenta del paese.
Questo è stato il messaggio che ci ha consegnato il 4 luglio scorso il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi nella sua visita a Trento su invito del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Ed è questo messaggio nonviolento che fa più paura alle oligarchie vicine al presidente Ahmadinejad, che invece preferirebbero uno scontro senza quartiere e riconducibile ad un disegno di sovvertimento della repubblica islamica da parte delle potenze occidentali, non a caso continuamente evocato, da poter soffocare con la forza soverchiante di un esercito nelle loro mani.
Come non è affatto un caso che in queste ore, dopo la repressione violenta delle manifestazioni, il potere iraniano cerchi di soffocare le istanze democratiche attraverso la minaccia di morte agli oppositori, l’assassinio premeditato di Sayyed Ali Habibi Mousavi, nipote del leader dell'opposizione Mir-Hossein Mousavi, morto domenica scorsa a Teheran durante le proteste o l’arresto di Nushin Ebadi, sorella di Shirin (che non rientra in Iran da giugno, quando si sono tenute le controverse elezioni presidenziali), sequestrata dall’intelligence iraniana nella sua abitazione a Teheran pur non avendo partecipato ad alcuna protesta e con l’unico l’obiettivo di intimidire la sorella Shirin e costringerla a mettere fine al lavoro di denuncia che continua a svolgere a favore dei diritti umani nel suo paese.
A tutte le donne e gli uomini che in queste drammatiche ore stanno lottando a mani nude e con la forza delle idee per la democrazia e la libertà di espressione vogliamo far sentire la nostra vicinanza, raccogliendo la vostra voce e facendola arrivare in ogni luogo come nostro messaggio di speranza per l’anno che sta per venire.