«Non può esserci chi piange e chi festeggia», C. Bert, "Trentino", 6 dicembre 2016
Gilmozzi: «Questo è stato un voto su Renzi, non su Rossi, Olivi e l’autonomia», mette le mani avanti il segretario del Pd trentino Italo Gilmozzi. «Si conferma che come Trentino subiamo forte l’effetto nazionale. Alle Europee il Pd ha preso oltre il 40% dei voti, oggi abbiamo subito l’effetto contrario. Evidentemente anche qui si è catalizzato un certo malessere dei trentini».
Sul peso avuto dal dissenso interno sul risultato finale, il segretario del Pd è cauto: «Non è colpa di Dorigatti, Lorandi e Plotegher se abbiamo perso, lo dicono i numeri». Ma al contempo apre la verifica interna nel Pd: «Va fatta una riflessione. Se al termine di questa campagna elettorale c’è chi piange e chi festeggia lo stesso risultato, vuol dire che qualcosa non va. In questo referendum non si votava sul divorzio o sull’aborto, ma su una riforma costituzionale. Serve una condivisione di intenti. Non si tratta di cacciare nessuno, ma di riflettere se ci sono le condizioni per continuare a lavorare nello stesso partito». Anche in casa Patt il segretario Franco Panizza prova a sminuire il peso avuto dai dissidenti del fronte del no anche tra gli autonomisti, in prima fila il consigliere provinciale ed ex presidente del partito Walter Kaswalder: «Sicuramente la posizione di Kaswalder e in generale il dissenso interno non ha fatto bene e ha reso più complicato il messaggio ai cittadini. Ma dove gli autonomisti sono più forti, dalla val di Non e Sole alla Paganella - rivendica il segretario - si è sentito e ha vinto il sì». «Questo non era un voto sul governo provinciale e questa non era una riforma di Rossi o degli autonomisti», prende le distanze Panizza rispondendo alle richieste di dimissioni arrivate ieri a Rossi dalle opposizioni di centrodestra. Il segretario del Patt non può però trascurare il divario emerso nel voto tra Trento e Bolzano: «Questa distinzione rimarca che le autonomie speciali oggi sono sempre più schiacciate sulle minoranze etnico-linguistiche, e questo rende più fragili le motivazioni che stanno alla base della nostra autonomia. La vittoria del no, seppure meno forte che nelle altre regioni, è il segnale di un territorio che, diversamente dall’Alto Adige, non sente così forte la propria diversità, e questo oggi ci rende più esposti. È stata anteposta una logica nazionale a quella territoriale».
«Scollati dalla realtà, serve un nuovo ciclo»
«Il voto a livello locale dimostra che c’è un problema di connessione tra la coalizione del centrosinistra autonomista e gli elettori. Occorre un riflessione profonda per riaprire un nuovo ciclo. Ci vuole un ragionamento di prospettiva». Il deputato di «Per l’Italia-Centro Democratico» Lorenzo Dellai non è incline alle analisi autoassolutorie. Anzi, guardando ai risultati in Trentino del referendum costituzionale renziano trova parecchi motivi di critica alla coalizione cui appartiene: «La coalizione di centrosinistra autonomista non è riuscita a portare sul “Sì” la maggioranza degli elettori. Questo dimostra che c’è un problema di connessione tra la coalizione e i cittadini. In questa situazione, mi pare che la cosa più sbagliata sia fare lo scaricabarile dando la responsabilità del risultato agli alleati. Io penso che si debba aprire una riflessione molto seria sul perché in Trentino c’è stato questo risultato. L’esito del referendum è una problema anche perché noi il nostro ruolo lo abbiamo sempre ottenuto anche perché siamo sempre riusciti a distinguerci dal trend nazionale. Questa volta non è accaduto e rischiamo di pagarne le conseguenze». Per Dellai occorre un netto cambiamento di rotta e, quindi, il suo ragionamento suona come una critica a chi la rotta finora l’ha tracciata cioè la leadership della coalizione, a partire da Ugo Rossi, che però non cita mai. Però per quanto riguarda il contingente non trova responsabilità: «In questa campagna, tutti hanno lavorato bene e si sono impegnati. Questo vuol dire che c’è un problema più profondo. Va ricostruito e ripensato un ciclo nuovo. Sono necessari un maggior lavoro comune e una maggiore responsabilità in Provincia. Penso e spero che nessuno abbia in mente di aprire un conflitto all’interno della coalizione. Ciascuno di noi deve fare meglio il proprio lavoro. Solo così si esce da questa situazione. Bisogna tornare a ragionare di politica e trovare gli strumenti per nuovi per coinvolgere le persone. Dobbiamo essere in grado di interpretare quello che vuole l’elettorato. Non siamo stati capaci di farlo e adesso dobbiamo aprire una riflessione di prospettiva, di medio termine e che non si fermi all’oggi».
L’ex presidente della Provincia spiega anche che le conseguenze del voto di domenica per il Trentino rischiano di essere molto negative: «La prima conseguenza è che non abbiamo più la possibilità di portare modifiche allo Statuto potendo contare sulla clausola dell’Intesa. Dovremo riflettere molto perché le nostre proposte di modifica dello Statuto ora rischiano di essere stravolte in Parlamento». Per quanto riguarda il futuro a livello nazionale, Dellai spiega che siamo di fronte a un bivio: «C’è stato un grave errore di impostazione del premier Renzi che ha trasformato questo referendum in un voto pro o contro di lui. Ha ottenuto una minoranza del 40%, ma non può spenderla politicamente. Dall’altra parte non c’è un’alternativa. Si sono coalizzati contro Renzi. Hanno vinto, ma non hanno un’idea comune neanche sulla legge elettorale. Questo è il quadro di un Paese che non è ancora uscito dalla lunga transizione, in balìa di tattiche di breve periodo e dell’instabilità. Ne pagheremo le conseguenze. Il problema fondamentale è come ne usciremo sotto la guida del presidente Mattarella. Ci sono due strade. La prima è la tentazione che Renzi potrebbe avere di andare subito all’incasso del 40% di consensi che ha ottenuto. La seconda è costruire un governo che completi il programma e si occupi di favorire l’intesa sulla legge elettorale. Io preferisco di gran lunga questa seconda opzione».
Una lettura, quella di Dellai, che trova punti di contatto ma anche divergenze rispetto a quella del senatore Pd Giorgio Tonini, molto vicino a Renzi: «La sconfitta al referendum è una sconfitta strategica gravissima, è fallito il progetto di portare l’Italia a una democrazia maggioritaria dove i cittadini decidono chi deve governare. Per questo era nato l’Ulivo e poi il Pd». «La vittoria del no - è l’analisi di Tonini - ci ricaccia in una democrazia proporzionale. Lo scenario più plausibile è che andreamo a votare di qui a poco con una legge elettorale profondamente rivista dalla Corte Costituzionale, che dichiarerà l’Italicum, pensato dentro la riforma costituzionale, contraddittorio rispetto alla Costituzione vigente. Il parlamento a quel punto potrà fare delle rifiniture di dettaglio, non di impiato visto che non c’è una maggioranza su un progetto di riforma elettorale». Sullo scenario nazionale, Tonini ha pochi dubbi: «Non vedo a cosa serva tirare a campare». Fatta questa premessa, il senatore guarda al Pd e al centrosinistra: «Non dobbiamo farci prendere dal panico. La sconfitta al referendum mette fine a un’esperienza di governo. È stata persa una battaglia ma il Pd si è confermato una forza da 13 milioni di voti, è un punto fermo in un sistema che rischia di franare. I 19 milioni del no sono divisi tra molte forze politiche.
Abbiamo il dovere di tenere insieme e organizzare un elettorato che chiede il cambiamento». Come? Per Tonini è chiaro che «il Pd andrà a congresso, che Renzi si dimetta o no da segretario è secondario, perché è a fine mandato. Nessuna resa dei conti, serve un confronto con una discussione vera, aperta, da cui personalmente spero che vinca di nuovo una posizione riformista. Il fronte del no ha saldato conservatorismo e protesta, questo ci carica di ulteriore responsabilità». Sul futuro politico di Renzi, Tonini è convinto che la sua carriera non sia arrivata al capolinea: «Io mi auguro che si ricandidi, è giovane e anche nello stile con cui si è dimesso ha dimostrato una maturazione della sua leadership». Infine sul voto in Trentino: Mi aspettavo un risultato migliore di quello nazionale, in parte lo è stato grazie a un sistema di alleanze prezioso. Il divario con l’Alto Adige deve suonare come un campanello d’allarme per la coalizione, ma va anche ricordato che a Bolzano ha vinto l’anima della Svp più innovativa e più vicina a noi».
Pd, scende in campo il fronte anti-Renzi
TRENTO La resa dei conti nel Pd si è già aperta a livello nazionale dove c’è chi chiede le dimissioni di Renzi anche da segretario del partito, ma la vittoria del no apre la discussione interna anche in Trentino, dove il Pd era schierato per il sì ma una minoranza ha preso posizione per il no. «Di fronte al risultato non può esserci tra noi chi gioisce e chi piange», ha ammonito il segretario Italo Gilmozzi, «serve una riflessione interna sul senso del nostro stare insieme». Esponente di spicco del fronte del no, nonostante abbia rinunciato da subito - per il suo ruolo - a fare campagna elettorale, è il presidente del consiglio provinciale Bruno Dorigatti, da sempre anti-renziano e che ieri non ha risparmiato un duro giudizio sul premier e il progetto di riforma bocciato dagli elettori: «La vittoria del no, se evidenzia da un lato la carenza di attenzioni al crescente disagio sociale, dall’altro palesa il rifiuto dell’elettorato di ciò che gli è apparso come una sorta di “confuso progetto costituzionale”». Per Dorigatti «il voto interroga la politica per avviare un serio dibattito capace di profilare nuovi orizzonti di sviluppo affinchè l’Italia possa riprendere a guardare avanti, uscendo da quel clima di eterna campagna elettorale». Il risultato di domenica «rappresenta un punto alto di partecipazione e non può essere ridotto a conservatorismo». Ora, avverte, «c’è bisogno di ricostruire l’unità del Paese». Secondo Dorigatti il lavoro della Consulta «non potrà che proseguire con maggior vigore con l’obiettivo di fornire strumenti nuovi e prospettive diverse al futuro che si sta costruendo».
Dal fronte del no interviene anche Fabiano Lorandi, ex segretario del Pd di Rovereto e firmatario con l’assessora regionale Violetta Plotegher di un appello per il no: «Insieme a quanti nel Pd ci siamo espressi per il no, abbiamo consentito che questo risultato non sia solo patrimonio della destra e di Grillo. Il voto di domenica è stato trasversale alle forze politiche e ha messo in luce un Pd incapace di leggere la realtà al di là della narrazione di Renzi. Il Pd dovrebbe fare politiche di sinistra». E ora che si apre la crisi di governo? «C’è l’urgenza di un governo e serve un sussulto di responsabilità del Pd di fronte a una crisi provocata dal suo leader». Per Andrea Pradi, ex Pd oggi civatiano, «il voto ci consegna un messaggio di speranza, non la paura di un fallimento. Abbiamo difeso la nostra Costituzione dal peso di una riforma che non sarebbe riuscita a reggere».