Che brutto pasticcio. Permettiamoci il lusso, per una volta, di provare a mettere ordine. Abbassiamo un poco quel fastidioso ronzio di polemica che ha appiattito tutte le voci in questa campagna referendaria che è - pur se non la migliore - sicuramente un’espressione delle libertà di pensiero e parola garantite dalla stessa Costituzione a cui tutti si appigliano.
Giulia Merlo, "Trentino", 29 novembre 2016
In questo attimo di silenzio, ristabiliamo i ruoli: c’è chi, legittimamente, voterà no il prossimo 4 dicembre. C’è anche chi, e io sarò tra questi, voterà sì. Da cittadini liberi e uguali, esercitiamo lo stesso diritto costituzionale di voto. Io non attento alla Costituzione votando sì, chi vota no non vuole una Carta cristallizzata nel passato.
Nessuno di noi, per fortuna, c’entra nulla col fascismo e, qualsiasi sia l’esito di questo referendum, mi sento in tutta coscienza di escludere che il Paese possa trasformarsi in una dittatura di chicchessia. Io a questo referendum voterò convintamente sì, perché credo che un Senato delle regioni restituisca responsabilità agli enti locali, gli stessi di cui da trentina porto con orgoglio l’esperienza. Trasformare (attenzione: non abolire) il Senato in una camera delle autonomie significa rinsaldare il legame tra Stato e Regioni in un nuovo patto di rappresentanza, che rafforza la rilevanza costituzionale degli enti locali, chiamati ad esprimersi sulle leggi che li concernono.
Aggiungo che i futuri senatori non saranno dei non-eletti: saranno eletti nei consigli regionali e poi delegati, quindi aumentando ancora la rilevanza delle elezioni amministrative, che più incidono sui territori. Voterò sì perché sono convinta che il governo debba poter attuare velocemente - anche se nei limiti della Costituzione - il suo programma: grazie al nuovo procedimento legislativo del “voto a data certa” il governo potrà ottenere la calendarizzazione e la pronuncia definitiva entro 70 giorni sui disegni di legge che considera essenziali. E lo stesso governo porterà la responsabilità politica di quanto chiede di valutare, senza più giustificate lentezze e senza l’abuso della decretazione d’urgenza.
Voterò sì perchè credo che competenze definite tra Stato e regioni significhino anche responsabilità definite, che la politica locale a tutte le latitudini dovrà assumersi. La riforma elimina le materie di competenza concorrente che hanno creato incertezza sui rispettivi limiti di intervento e riordina le materie, assegnandole allo Stato o alle Regioni. Si restituisce allo Stato la competenza su energia, infrastrutture strategiche, reti di trasporto, coordinamento della finanza pubblica, ordinamento scolastico, sicurezza sul lavoro. Alle Regioni si assegnano nuove materie, ferma restando la competenza residuale in tutto ciò che non è assegnato allo Stato. Noi qui sappiamo quanto proprio la certezza delle competenze e il loro esercizio siano state la sfida, per gran parte vinta, che ha reso della nostra Provincia un esempio di efficienza di cui andare fieri.
Voterò sì perchè credo che la Costituzione si difenda anche modificandola. Esiste una Costituzione formale e una materiale, il diritto costituzionale è fatto di principi che finiscono dove iniziano i successivi, in un equilibrio variabile di bilanciamenti che hanno permesso alla Carta di evolversi secondo lo spirito del tempo e di rispondere alle sollecitazioni dei tanti singoli momenti. Il ddl Boschi è una legge di riforma costituzionale e come tutte le leggi non predice il futuro, si limita a provare a dargli una direzione. Si poteva fare meglio? Si poteva fare di più? Mi chiedo di quali riforme non lo si sia detto. Aggiungo che molti, oggi schierati sul fronte del no, sono gli stessi che hanno votato questo stesso testo ben sei volte in Parlamento. È questa una riforma che il Paese aspettava da trent’anni? Io credo dì sì, io sicuramente la aspettavo. E non me ne faccio nulla del benaltrismo, della strampalata logica che serva sempre altro per cambiare qualcosa. Serve anche altro, certo, nel frattempo io credo che questo sia un cambiamento che farà bene. E ora veniamo al merito politico.
Il fronte del no è un orizzonte frastagliato, a cui probabilmente la personalizzazione del dibattito sulla persona di Matteo Renzi ha offerto gioco facile. Ognuna delle voci che grida no, però, lo fa per una ragione diversa. Il no forse vincerà (anche se i sondaggi, ha dimostrato il recente passato, sono un po' come gli aruspici), ma non è un fronte compatto, anzi non è nemmeno un fronte: non è un’alternativa a nulla. Il no è condizione necessaria ma non sufficiente a dare vita a un blocco diverso da quello che ora governa. Scegliere di votare no significa accettare di dare una battuta d’arresto all’attuale governo e in questo no non vedo alternative che tengano il Paese in asse rispetto anche alle ultime derive conservatrici. C’è chi obietterà che non si può parlare di questo referendum senza discutere della legge elettorale: rispondo che il quesito referendario non la comprende né la dà per scontata.
Al netto della lunga polemica sulla formulazione del quesito e sulle modalità di fissazione del voto, la riforma che siamo chiamati a confermare o a cestinare è questa e su questa dovremo esprimerci: sul resto, la valutazione era appannaggio di altri organi costituzionali, che hanno ratificato ogni passaggio fin qui compiuto. Io andrò a votare sì ma rispetterò chi voterà no, per una qualsiasi delle molte ragioni possibili. Insieme faremo un esercizio di democrazia e partecipazione, ma soprattutto dimostreremo di avere a cuore, anche se da prospettive diverse, il nostro Paese. Perché è votando (non votando no) che si combatte ogni fascismo.