Michele Nicoletti non ha mai mostrato di avere dubbi sulla bontà della riforma. Ordinario di Filosofia politica a Trento, il deputato pd evita l’approccio da pasdaran della rivoluzione renziana, ma l’unica critica che concede è l’avverbio «incautamente» a proposito della scelta del premier di legare i destini del governo al voto del 4 dicembre.T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 24 novembre 2016
Onorevole, cominciamo dalla critica più forte: la riforma riduce gli spazi di democrazia.
«Al contrario, li amplia per almeno tre motivi. Primo, con il nuovo Senato, si dà rappresentanza alle istituzioni territoriali. Secondo, il fatto di avere finalmente un’unica Camera politica che garantisce la fiducia al governo, eviterà che il voto dei cittadini venga indebolito dai trasformismi che hanno caratterizzato negli ultimi anni il Senato. Terzo, la democrazia diretta viene rafforzata dall’abolizione del quorum per il referendum abrogativo, dall’obbligo di valutare le proposte di iniziativa popolare e dall’istituzione dei referendum propositivi e di indirizzo».
Il nuovo Senato pare a molti un «papocchio». C’è chi lo critica perché non conterà nulla, chi perché, restando, non permetterà di superare il bicameralismo.
«Oggi il Senato è un doppione della Camera. Se vincerà il sì, avremo una camera per rappresentare le istanze dei territori. Non verrà meno il suo ruolo di controllo, perché su passaggi delicati come le modifiche costituzionali, o l’elezione del Capo dello Stato, manterrà i suoi poteri. Avrà poi la possibilità di proporre miglioramenti di leggi ordinarie, ma in questo caso non potrà bloccare la Camera, il suo potere sarà solo consultivo».
A differenza del Bundesrat tedesco, i suoi membri non saranno legati ai propri territori da un vincolo di mandato. Il rischio è che votino in basa a ciò che indica il partito nazionale.
«A differenza del modello tedesco, noi abbiamo voluto garantire la pluralità che esprime un territorio, che non sempre si risolve nell’indicazione del governatore di turno. Io credo che i territori potranno esprimere interessi trasversali, penso alle aree di montagna. Un peso lo avrà anche il nuovo regolamento del Senato».
I senatori non saranno eletti dal popolo.
«Sarebbe stata una contraddizione farli eleggere direttamente dal popolo se dovranno rappresentare le istituzioni territoriali. Se eletti dal popolo, dovrebbero rappresentarlo al pari della Camera».
L’Autonomia speciale sarà tutelata dalla norma, pur transitoria, dell’intesa. Ma in un paese che va verso il centralismo, quale futuro attende, alla lunga, le autonomie?
«La riforma non tocca le competenze amministrative delle Regioni. La sanità ad esempio, che assorbe circa il 65% dei trasferimenti, resta regionale. La tutela della salute, invece, che aveva prodotto disparità nei livelli essenziali di assistenza, torna interamente statale. Oggi abbiamo territori con 4 anni di aspettativa di vita di differenza. Non credo sia sbagliato uniformare i diritti. Inoltre, le Regioni che dimostreranno di avere i conti in ordine, potranno ottenere maggiori competenze».
Dellai ha invitato alla calma ricordando che oggetto della riforma è l’efficienza istituzionale. Concorda?
«Questa riforma è nata con obiettivi umili. Non si è voluta cambiare la forma di governo, né toccare la magistratura. M5s a parte, due sono stati i punti su cui si è trovata ampia intesa: la fine del bicameralismo paritario e il riordino delle competenze regionali. Dellai ha quindi ragione quando parla di efficientamento. Aggiungo che vi è, però, anche il disegno politico di rafforzare le istituzioni italiane all’interno delle istituzioni europee. Se vi è un filo rosso che collega gran parte dei sostenitori del no, è l’antieuropeismo».
Converrà, però, che, uscendo dalla cerchia degli addetti ai lavori, la gran parte dei cittadini che voteranno «No» lo faranno per «antipatia» verso Renzi. Un errore personalizzare il voto?
«Premesso che, negli ultimi 30 anni, non ricordo una modifica costituzionale che sia andata in porto senza la spinta del governo, Renzi ha incautamente legato il destino del governo al voto e per l’opposizione è stata un’occasione ghiotta. Altri governi verranno dopo quello Renzi, l’importante è che i cittadini votino «sì», o «no», in base al loro giudizio sulla riforma».
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