Mi chiedo se coloro che si trastullano con l’ipotesi di un ritorno a una legge elettorale di tipo proporzionale abbiano provato ad applicarla all’attuale panorama politico italiano. Senza pretesa di un calcolo raffinato, e non tenendo conto di eventuali nuove scomposizioni del quadro politico (il cielo ce lo eviti), proviamo – per esercizio scaramantico – a trasformare in seggi alla Camera gli ultimi sondaggi a disposizione.Michele Nicoletti, "L'Unità", 19 novembre 2016
Se prendiamo le medie elaborate da «termometro politico» adottando un sistema proporzionale puro e con soglia minima al 3% avremmo i seguenti risultati.
Con un ipotetico 5% di voti dispersi e qualche approssimazione, avremmo i seguenti risultati: Pd 32%, (seggi 213), M5S 30% (199), Lega 12% (80), Fi 10,5% (69), Fd ’I 4% (26), Si 3.5% (23), Ncd 3% (20). In questo quadro tre sarebbero le maggioranze numeriche possibili, tutte molto eterogenee sul piano politico: M5S + centrosinistra (Pd, Sì) con 430 seggi, M5S + centrodestra (Lega, Fd ’I, Fi) con 374 seggi, centrodestra+centrosinistra (Pd+Ncd+Fi+Si) con 325. In quest’ultimo caso si noti che senza Si e Fi assieme, il Pd non arriva alla maggioranza con le combinazioni di Pd-Si-Ncd (256) o Pd-Ncd-Fi (302).
Naturalmente si tratta di un semplice esercizio basato sui sondaggi del momento a grande distanza dal voto e adottando una mera trasposizione numerica delle percentuali di voti in seggi. Ma il risultato potrebbe essere simile a questo e ciò dovrebbe dimostrare con chiarezza che un sistema proporzionale ci porta dritti nel pantano: altro che centralità del Parlamento! Le difficoltà politiche di creazione di una solida maggioranza attraverso trattative parlamentari emergerebbero in tutta la loro forza e trascinerebbero le istituzioni in una spirale distruttiva.
Quanti oggi irridono i modelli che consentono al voto dei cittadini di produrre con la loro scelta una omogenea maggioranza parlamentare e di sapere la sera delle elezioni chi ha vinto e chi ha perso dovrebbero rendersi conto di questo rischio. Si dirà che si possono introdurre correttivi al proporzionale puro. Ma è difficile pensare di introdurre soglie più alte del 3% in un quadro in cui ben tre partiti (Fd’I, Si, Ncd) potrebbero rischiare di rimanere esclusi.
E così appare anche di dubbia conciliabilità con la sentenza della Corte Costituzionale. che ha dichiarato illegittimo il Porcellum, l’ipotesi di un premio di governabilità da attribuirsi tout court al primo partito: risultasse primo partito il M5S con 210 seggi, con un premio di 90 seggi arriverebbe poi a 300, ma che succederebbe se il M5S poi non volesse allearsi con nessun altro partito o nessun altro partito accettasse di allearsi con il M5S per formare un governo? Il premio di governabilità verrebbe assegnato paradossalmente a una forza di opposizione, cosa del tutto irragionevole per la Corte. Da questo breve esperimento è facile vedere come il pensare di usare il proporzionale per contrastare il cosiddetto populismo sia davvero illusorio.
E forse andrebbe ricordato ai progressisti che negli anni Venti del Novecento i sistemi elettorali proporzionali in Italia e in Germania non furono in grado di scongiurare l’affermarsi di movimenti cosiddetti populisti: nelle dinamiche parlamentari i partiti di centrodestra non si allearono con democratici e socialisti, ma preferirono essere subalterni agli emergenti nazionalismi. È cosa che sta succedendo anche nell’Europa di oggi. Non dimentichiamolo. Teniamoci stretto un sistema elettorale che dia ai cittadini il potere di essere arbitri, all’Italia una democrazia dell’alternanza e ai democratici un’uguale chance di essere forza trainante di governo.
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