Ha ormai dieci anni di vita un libro affascinante che narra, con parole semplici e asciutte, la storia di una "passione politica": quella che ha portato Tina Anselmi dall'esperienza di giovanissima staffetta partigiana alla responsabilità di governo, prima donna Ministro della Repubblica.Donata Borgonovo Re, "Corriere de lTrentino", 10 novembre 2016
Una storia che lega gli anni drammatici della Resistenza, carichi di dolore e di crudeltà (l'impiccagione a Bassano del Grappa di 43 giovani rastrellati sulle montagne, cui anche Tina fu costretta ad assistere con gli studenti del suo istituto magistrale) ma anche di solidarietà e di generosità popolare (dei contadini, dei parroci, delle donne, degli stessi professori), agli anni della ricostruzione e della nuova Repubblica costituzionale. "L'Italia tutta andava costruendo il suo futuro": e in questo futuro finalmente c'era uno spazio inedito anche per le donne che, dopo aver condiviso con gli uomini le battaglie e gli ideali di libertà, si affacciavano alla pienezza dei diritti politici e civili.
"Allora ci sembrava possibile che il mondo potesse essere meno ingiusto anche per noi donne": le speranze delle italiane e la loro entusiasta partecipazione al voto del 2 giugno 1946 spazzarono via le paure "di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è sempre un enigma per gli uomini". Ed ancora oggi è un po' così... Ma in quegli anni di rinascita, era fortissima e diffusa la fiducia nelle possibilità di una effettiva partecipazione dei cittadini alla creazione di una democrazia luminosa, nella quale ci sarebbero state pace, progresso e giustizia per tutti, "rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne".
Le speranze di quella stagione -che oggi ci appaiono commoventi alla luce dei troppi tradimenti che la vita della Repubblica italiana ha loro riservato- hanno trovato nella politica e nei partiti gli strumenti, pur imperfetti, per realizzare il bene della comunità. "Non dimentichiamo che allora facevano politica non i portaborse, ma persone che credevano nel valore della politica, che si impegnavano perché la politica fosse al servizio dell'uomo. (...) Per questo 'maltrattare' la politica, ridurla a mero esercizio di potere, o peggio ancora a puro interesse personale, è un atto gravissimo, che uccide la speranza, oltre che un atto stolto perché, così facendo, si perde il bello della politica e si vive solo dei suoi cascami. Che, quelli si, la rendono noiosa, ripetitiva, una nociva perdita di tempo, e le tolgono l'anima".
Tina Anselmi ci ha lasciato dopo una lunga e crudele malattia. L'amarezza di molti, e mia, è quella di non averla vista rappresentare la Repubblica, che ha fortemente contribuito a costruire, dallo scranno più alto, quello della Presidenza (la prima donna Ministro avrebbe degnamente potuto divenire la prima donna Presidente...), così coronando non solo la sua luminosa storia umana e politica ma anche le attese delle cittadine (e dei cittadini) che hanno fiducia nella buona politica e in chi la esercita. Ma Tina Anselmi non ci ha abbandonato. A noi donne, in particolare, ha lasciato in eredità il suo esempio, le sue parole, la sua lucida testimonianza: un'eredità preziosa e generosa, affidata alla nostra responsabilità di cittadine, di amministratrici, di rappresentanti nelle istituzioni, di politiche. A noi il compito di onorarla, come diceva lei, usando le parole di Simone Weil, "nella verità della nostra vita".
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