E così anche sui temi della solidarietà, dell'accoglienza e della tutela delle minoranze, qualunque esse siano, sembra sempre più difficile rimarcare una «diversità» morale, ancor prima che materiale, nei riguardi del resto del Paese.
Bruno Dorigatti, 3 novembre 2016
L'incoscienza, venata da vaghe intimidazioni declinate nel linguaggio mafioso dell'incendio, che ha dato buona prova di sé a Soraga in questi giorni, non è però solo la spia del dilatarsi degli egoismi e delle chiusure mentali e culturali nei confronti di ogni alterità, ma anche il segnale, da un lato, dell'evanescenza della minoranza come luogo di incontro e di dialogo fra differenti e, dall'altro, del radicarsi progressivo dei populismi da fiera strapaesana; delle xenofobie fermentate nell'ignoranza; delle facili ricette dell'«odio fai da te» buono per ogni circostanza e del crescere di un'intolleranza, nutrita da qualsivoglia podio televisivo d'occasione.
In questi contesti non appare difficile quindi far passare il falso mito del «respingimento», quasi che il rifiuto all'accoglienza espresso da una singola realtà possa spostare altrove e di molto quell'onda di disperazione e paura che fugge dall'oceano della guerra, per lambire, probabilmente per anni ancora, la spiaggia delle nostre vite. Invece di guardare in faccia la realtà si vuole negare, affidando al fuoco l'apparente soluzione di ogni paura, l'evidenza dell'impossibilità di fermare i flussi migratori con l'erezione di muri e barriere, nel vano tentativo di isolare una singola geografia, magari la nostra, dallo scorrere della storia. Negare e nascondere la testa nella sabbia, anziché favorire ogni possibile intervento sulle cause dei fenomeni strutturali che si vanno formando proprio nel quadro della grandi migrazioni di massa. Questo sembra essere la parola d'ordine che aleggia sul presente del Trentino e dell'Italia.
Davanti ad azioni di rifiuto addirittura preventive, posto che a tutt'oggi la Valle di Fassa non ha ancora ospitato un profugo, è un profondo senso di amarezza che ci assale, solo ripensando a quanto quella vallata, come tutte le altre del territorio provinciale, abbia alle spalle una tradizione di ospitalità e di difesa degli oppressi, se solo ripensiamo alla vicenda di Richard Loewy a Moena o alla solidarietà antifascista di personaggi come Tita Piaz. Ma questa memoria sembra contare sempre meno, testimoniando così quanto il portato etico dell'autonomia sia stato sacrificato in questi anni, a favore di una diffusa accezione meramente economica della specialità. E ciò risulta ancor più evidente in una realtà ricca e che, proprio dall'autonomia ha tratto ben più di un sostegno momentaneo; una realtà dimentica però del passato e proiettata invece verso un futuro che rischia di essere percepito come un incubatore solo di crescita del reddito, anziché dei valori e della cultura di un'intera comunità.
Il corto respiro di azioni indegne, come quella di Soraga appunto, cela anche un'altra pericolosa miopia, quella cioè dell'aver dimenticato il principio che sta alla base di ogni convivenza - e quindi anche di quella ladina - principio racchiuso nel significato profondo del condividere, del collaborare e nel senso intimo della reciprocità e della responsabilità. Non si tratta di parole vane, perché esse narrano i fondamenti della nostra particolarità territoriale, sociale e culturale e senza di esse l'autonomia perderebbe ogni significato vero ed ancorato dentro la storia del Trentino tutto. Cancellare l'identità di ciò che siamo stati e che siamo, ovvero una società inclusiva, aperta e solidale, non ci colloca solo dentro una pessima immagine collettiva, ma sviluppa i germi di un male incurabile e che potrebbe portarci in breve a dissolvere, nei piccoli egoismi di sparuti gruppi, le ragioni stesse della nostra specificità, rendendo di fatto priva di ogni differenza vicenda storica e culturale di Soraga da quella di Goro e quindi, di conseguenza, ingiustificato ed ingiustificabile il sistema di autogoverno che segna e guida il nostro cammino di popolo da secoli.
Nelle fiamme di Soraga non brucia solamente la speranza in un mondo migliore, ma anche il significato della civiltà alpina e della suo lungo cammino di dialogo e di incontro fra le diversità. Questo è ciò che ci perderà, non trenta poveretti sballottati fra queste valli da un destino inatteso e crudele.