Tutto ruota intorno a uno «zero virgola»: + 0,8% di occupati in Trentino nei primi sei mesi del 2016 e - 0,6% di disoccupati, stando ai dati che l’Agenzia per il Lavoro presenterà questa mattina con il 31esimo rapporto sull’occupazione in provincia. E allora, la tendenza è chiara: il lavoro viaggia con il freno a mano tirato. «La verità — avverte l’assessore allo sviluppo economico Alessandro Olivi — è che non basta il Jobs Act».
S. Pagliuca, "Corriere del Trentino", 20 ottobre 2016
Numeri risicati, ma anche impieghi frammentari, mal retribuiti e dalla scarsa crescita. Neanche il Trentino riesce a fare meglio?
«Il Trentino non è impermeabile al resto del Paese, risentiamo anche noi di un’economia che non riprende e il Jobs Act da solo non può creare posti di lavoro».
A guardare i dati dell’Osservatorio del precariato dell’Inps, però, non solo il Jobs Act non ha creato posti di lavoro, ma li ha tolti: in due anni + 31% di licenziamenti disciplinari. Lo stesso anche qui?
«Non direi: i licenziamenti nei primi sei mesi del 2016 sono stati leggermente inferiori rispetto allo stesso periodo del 2015 e il saldo tra assunzioni e cessazioni è positivo. Sono piccoli segnali, ma possiamo lavorarci».
Come? I sindacati chiedono un cambiamento nelle politiche attive.
«Nella manovra di bilancio investiremo moltissimo sul lavoro, in termini di risorse e di progettualità. Sono convinto anche io che le politiche attive siano la chiave per creare coesione sociale e per stimolare crescita economica, ma il punto ora è fare un salto culturale».
In che senso?
«Dobbiamo invertire la tendenza per cui in Trentino abbiamo sempre accettato una forte protezione sociale in cambio di minore produttività. Dobbiamo invece coniugare entrambe le cose».
Come pensa di riuscirci?
«Prendiamo il problema della scarsa possibilità di carriera, con il 70% dei giovani che come denunciato da Fbk non avanza: questo accade perché, inevitabilmente, il lavoratore cerca sicurezza, ma se favoriamo l’investimento in capitale umano, consentiamo al lavoratore di muoversi su un mercato con più qualità. Protezione sociale e produttività vanno così di pari passo».
Ma non sempre domanda e offerta si incontrano, specie in questo momento.
«Sì e a volte dipende anche da una scarsa conoscenza delle opportunità in campo. Per questo, lanceremo un nuovo portale in cui chiunque potrà esporre le proprie competenze».
Questo per chi vuole cambiare lavoro, e per la crescita interna?
«In primis, dobbiamo rendere la formazione continua, anche in azienda, perché le politiche attive si fanno non solo con i disoccupati, ma con chi già lavora. E poi dobbiamo favorire un patto tra aziende e lavoratori».
Parla di contrattazione integrativa?
«Esattamente: è fondamentale. Nella prossima legge di bilancio, infatti, faremo delle proposte sull’Irap che valorizzeranno chi sceglie questo tipo di contrattazione. Così, si potrebbe siglare un patto tra imprese e lavoratori tale per cui se l’impresa alla fine dell’anno in corso fa meglio dell’anno precedente, il lavoratore non solo ha un premio in busta paga, ma può anche crescere come inquadramento contrattuale. Il tutto, unito a incentivi che già stiamo portando avanti su innovazione e fisco».
A proposito di innovazione, crede che i profili più qualificati fatichino a trovare lavoro in provincia perché le imprese sono poco avanzate?
«È evidente che c’è una questione strutturale: le imprese devono investire di più in innovazione, noi possiamo aiutarle con politiche industriali ad hoc. Per altro, se a innovare sono in tante, si elimina il rischio che nel breve periodo possa esserci un risentimento in termini occupazionali».
Ma rimane sempre il problema del precariato: cosa si fa per i periodi di non lavoro?
«Con i disoccupati stiamo già implementando percorsi di formazione personalizzati, ma faremo di più per limitare questa discontinuità nella vita lavorativa. Il fondo di solidarietà territoriale, ad esempio, è uno strumento che sta già dando ottimi risultati e nel futuro politiche attive e passive agiranno sempre più come un pacchetto integrato».