È un sì, pur con tanti dubbi, quello che Alberto Pacher esprime sulla riforma della Costituzione su cui si voterà al referendum del 4 dicembre. «Dopo tanti tentativi falliti, oggi è importante dare un segnale di cambiamento», dice l’ex sindaco di Trento ed ex vicepresidente della Provincia.C. Bert,"Trentino",18 ottobre 2016
Pacher, definirebbe il suo un sì sofferto? Io voto a favore anche se credo che questa sia una riforma un po' pasticciata. Però in questo momento considero troppo importante dare un segnale di cambiamento e il superamento del bicameralismo perfetto, che è uno dei punti fondanti della riforma, mi sembra un segnale decisivo di cambiamento. Ci sono altri punti che mi creano qualche preoccupazione.
Diciamoli, questi timori. Sono tra coloro che ritengono che si debba mettere mano all'Italicum, e mi pare che si stia andando in questa direzione. Ma l'aspetto che meno mi piace è la marcia indietro sul regionalismo. È vero che non siamo mai stati un Paese federalista, certo è che questo tornare indietro sulle competenze regionali a me pare un brutto segnale per due dati, uno generale e uno che riguarda il Trentino.
Partiamo dall'Italia... Non riesco a far tacere la voce che mi dice che il ritorno indietro sia dettato dal fatto che oggi nell'opinione pubblica la classe politica regionale è la più sputtanata d'Italia. Ma io temo che si confonda la causa con l'effetto: se siamo arrivati a questa situazione è stato per la debolezza dei partiti a selezionare le leadership, e a questo si risponde togliendo competenze.
Il nuovo Senato delle autonomie dovrebbe in parte compensare. Non la convince? Mi ritrovo in una considerazione di Michele Serra quando ha detto che sembra una riforma fatta perché qualcuno dica "piuttosto che così, meglio senza Senato". È un Senato non elettivo, di cui non si capisce bene quale sarà la funzione. Manca un quadro di processo.
Per il Trentino c'è però la blindatura: la riforma si applicherà solo dopo la riforma dello statuto sulla base di un'intesa con lo Stato. Non basta? È vero che le due Province hanno strappato un impegno formale che ha la sua importanza. Ma ho la sensazione che stiamo proteggendo un frutto prezioso come la nostra autonomia, mentre dall'altra si sta segando il ramo a cui l'autonomia è appesa. Con l'intesa ci salveremo per un po', ma temo che questo ci renderà ancora meno simpatici ad altre Regioni. Perché francamente non capisco come Toscana, Emilia, Veneto, Piemonte o Lombardia dovrebbero apprezzare che si tolgono competenze a Regioni virtuose. È vero che con il 116 si apre una possibilità per le Regioni ordinarie, ma dall'altra si sancisce un principio, che è quello di riportare funzioni al centro.
Tuttavia... Tuttavia a me pare che tutte queste ragioni non siano sufficienti per bocciare la riforma. Va promossa una politica che cerca un rinnovamento, mentre fino a oggi abbiamo sempre fallito: vige sempre lo stesso principio di interdizione, meglio dire no che dire invece, e così in questi anni tutte le riforme sono state affossate. Oggi c’è la possibilità di dar vita ad un sistema con due Camere con funzioni diverse, è un risultato. Serve una politica capace di assumere decisioni in tempi più veloci, certo non a scapito della democrazia e del principio di rappresentatività.
L’equilibrio tra governabilità e rappresentatività le sembra garantito dall’attuale proposta? A sinistra molti sostengono di no ed evocano i rischi di una deriva autoritaria. Su questo referendum i toni sono decisamente sopra le righe: devo dire che ha cominciato Renzi. Quando usi concetti come “asfaltare” o “lanciafiamme”, poi non puoi pensare che i toni del dibattito si abbassino. Se vincono i no l’Italia non è destinata alla tragedia, dall’altra se vincono i sì non si instaurano dittature. Mi sembrano cretinate. Bisognerà potenziare i bilanciamenti, ma in molte democrazie consolidate le due Camere hanno funzioni diverse.
Cosa non le piace dell’Italicum? Il premio di maggioranza? Il premio di maggioranza, 340 a 290 deputati, non mi pare così dirompente. Non mi piacciono i capilista nominati. Ma soprattutto avrei voluto che si inserisse la “sfiducia costruttiva”proprio per superare quel principio di interdizione che hanno sempre avuto i piccoli partiti e dunque per garantire vera stabilità.
Cosa pensa della lacerazione in atto nel Pd di cui lei è stato tra i fondatori in Trentino? È possibile che si arrivi ad una scissione? Nel Pd c’è una strutturale e decennale fatica ad accettare le leadership, a maggior ragione se sono leadership forti. Lo dico premettendo che a me non piace per niente lo stile di Renzi, per i toni e la modalità di gestione del partito, che dovrebbe essere un grande spazio di discussione mentre oggi si riduce in gran parte a ratificare le decisioni del governo. Inoltre il doppio ruolo di premier e segretario del Pd sta rivelandosi un errore.
Trento e Bolzano sono impegnate in un difficile processo di revisione dello Statuto. Come vede questo tentativo che procede su binari paralleli? Dal punto di vista del metodo non vedo grossi problemi ad essere partiti con due organismi. La sintesi poi bisognerà trovarla in consiglio regionale. Spero che questo processo di riforma sia l’occasione per tradurre un atto costituzionale in qualcosa di più ambizioso. La sensazione che si ha è che la nostra sia diventata un’autonomia preterintenzionale. Serve una visione, dell’autonomia, e per questo sarebbe bene che questo diventasse un tema di discussione vero e non confinato tra pochi.
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