In principio erano i comunisti per i quali si procedette alla conventio ad excludendum. Caduto il Muro, i comunisti diventarono “le sinistre” e, per scongiurare la loro vittoria, Berlusconi scese in campo con tutti i suoi mezzi. Lo stesso Berlusconi diventò per gli avversari “il caudillo” e pur di fermarlo si crearono coalizioni tanto eterogenee quanto incoerenti.
G. Echeverria e A. Betti, http://www.polithink.eu/, 4 ottobre 2016
Oggi la storia sembra ripetersi. Il nuovo spauracchio che si staglia all’orizzonte della politica italiana si chiama Movimento 5 Stelle.
I decenni passano, gli assetti geopolitici subiscono trasformazioni profonde, le ideologie assumono significati nuovi, ma quello che non cambia nel nostro paese è la storica tendenza alla “delegittimazione dell’avversario”. L’eventualità che un rivale politico possa conquistare attraverso il voto una maggioranza sufficiente per governare in modo autonomo – la normalità nella maggior parte dei paesi europei – in Italia risulta ancora oggi, per molti, “preoccupante” se non addirittura “inaccettabile”.
Solo una comunità politica che si riconosce come tale, che crede nell’esistenza di valori comuni “al di sopra delle parti”, è disposta ad accettare che “una parte” di quelle che la compongono possa governare. Se gli attori politici non si accettano a vicenda ma si percepiscono, piuttosto, come inammissibili ed ostili, la vittoria di uno è vissuta dagli altri, prima, come una “sciagura da evitare” e poi come una “ferita da sanare”. Riconoscimento e legittimazione reciproca rappresentano dunque un salto di qualità fondamentale per la vita politica di ogni società oltre che il presupposto per il buon funzionamento della democrazia, il più esigente e fragile fra i regimi politici. Il “governo del popolo”, come chiarisce la definizione stessa, richiede l’esistenza di “un popolo”, dunque di un’entità coesa, al meno nei suoi valori fondamentali, quale precondizione ad ogni possibilità di governo.
La debolezza della comunità e la diffidenza reciproca fra gli attori politici sono stati tratti caratteristici della storia italiana. L’ordinamento istituzionale vigente nacque proprio dal timore che potesse essere una parte a governare sulle altre. Durante i lavori della Assemblea Costituente pesarono il ricordo del regime fascista e le tensioni legate all’imminente Guerra Fredda. Il bicameralismo paritario che determina un procedimento legislativo bizantino e la strutturale debolezza dell’esecutivo ebbero origine nel mutuo sospetto fra le forze politiche. Nonostante l’evidente inefficienza del sistema, i ripetuti tentativi di cambiare la Carta sono andati a sbattere contro l’incapacità delle forze politiche di riconoscersi vicendevolmente una volta per tutte. Meglio le ammucchiate inconcludenti, il caos di coalizioni senz’anima, lo sproporzionato potere di veto dei piccoli partiti, piuttosto che il rischio che a decidere per conto di tutti possa essere una parte, ovviamente quella a cui non si appartiene.
I costi di queste carenze sono stati ingenti per il Paese. L’opacità dei processi decisionali e la necessità continua di mettere tutti d’accordo hanno spesso reso impossibile adottare quelle scelte strategiche che via via si sono rese necessarie. La responsabilità di tale negligenza, tuttavia, ricadendo su tutti, non si è potuta imputare a nessuno. Non c’è nessuno dei problemi che affliggono il paese, dalla criminalità alla bassa crescita, dall’enorme debito pubblico alla disoccupazione che non si possa mettere in relazione, almeno in parte, con le disfunzioni della politica. Se, d’altra parte, sono le regole del gioco a non funzionare, è normale che a prevalere siano inconcludenza, irresponsabilità e affarismo.
Le complesse sfide che il paese deve affrontare nell’attuale contesto richiedono un cambiamento. C’è bisogno di un sistema politico competitivo nel quale il vincitore assuma in modo pieno la responsabilità di governare e lo sconfitto accetti il responso senza isterismi. In quest’ottica, le implicazioni del referendum costituzionale sul quale saremo chiamati ad esprimerci il prossimo autunno sono molto più profonde di quel che traspare dal dibattito in corso. In gioco non vi sono “solo” una modernizzazione delle istituzioni rappresentative, un taglio dei parlamentari, o un nuovo assetto delle competenze fra Stato e Regioni, bensì la possibilità per l’Italia di superare definitivamente la propria adolescenza politica. L’effetto combinato della nuova Costituzione e della nuova legge elettorale permetterà finalmente che “una parte”, quella che sceglieranno gli elettori, abbia la possibilità governare il paese in modo stabile per 5 anni. Il secondo turno obbligherà gli elettori a compiere uno sforzo di analisi, a rompere quella barriera insormontabile fra il “noi” e il “loro”, spesso intesi come il “bene” e il “male”, e a scegliere l’opzione che risulti meno sgradita o quella che dia loro maggiore fiducia.
Alla luce delle debolezze che hanno caratterizzato la comunità politica italiana, non sorprende il recente dibattito sull’opportunità di eliminare il secondo turno dall’Italicum o di boicottare la riforma costituzionale per scongiurare il rischio che a vincere le prossime elezioni possa essere il Movimento 5 Stelle. L’identificazione dei grillini come un rischio democratico è l’ennesima materializzazione della storica tendenza alla delegittimazione dell’avversario. Sulla possibilità di avere un sistema istituzionale che faciliti la formazione di maggioranze di governo omogenee e capaci di alternarsi si gioca la maturità politica di questo Paese, la sua definitiva emancipazione da quell’idea fallace secondo cui sarebbe più democratico il governo di tutte le parti assieme che l’avvicendamento fra esse al potere. Se vince il Sì, invece di preoccuparsi di come evitare che il partito sgradito possa andare al governo, gli attori politici dovranno impegnarsi ad aumentare la qualità della propria offerta e dei propri leaders. Chi oggi ha paura dei 5 Stelle evidenzia una malcelata diffidenza nel sistema democratico e sembra non credere del tutto nei propri mezzi per poter avanzare una proposta di governo migliore.