SAN MICHELE ALL’ADIGE Non ha remore nell’affermare che «la politica economica di austerità della Germania ha sacrificato gli altri Paesi dell’Europa riducendone il livello di sviluppo» e nemmeno si astiene dal denunciare la miopia degli attuali leader europei, che mancano di capacità di visione e «guardano solamente all’elezione del mese successivo».
E. Ferro, "Corriere del Trentino", 22 settembre 2016
Ma di fronte a Davide Tait, della quarta «Ve» (ovvero viticoltura ed enologia), che gli chiede cosa voterà all’imminente referendum costituzionale, Romano Prodi si trincera dietro a un «Non ve lo dico neanche morto».
Citando un episodio di gioventù, «quando andavo allo stadio a veder giocare il Bologna», riprende un’esortazione sentita sugli spalti e zittisce il solerte giovane che vorrebbe sapere pure «che idea si sia fatto di Renzi» con un perentorio ma ironico «Non insistisca!». È un’appassionata orazione europeista quella che il due volte presidente del consiglio dei ministri e già guida della Commissione europea ha tenuto ieri mattina di fronte agli studenti del Centro istruzione e formazione della Fondazione Mach. Perché è soprattutto «per i giovani» che l’Europa «è indispensabile»: «Il loro futuro — sostiene Prodi — è in questa imperfetta Unione europea». Va da sé, dunque, che la si debba perfezionare. Soprattutto a livello politico: «Il rilancio può partire soltanto dal rafforzamento delle istituzioni» afferma. La Commissione europea, insomma, torni a essere quella di quindici anni fa. Il problema dell’Unione non sono le banche, anzi. «Quello monetario è uno dei pochi fronti su cui si sono fatti progressi — rileva Prodi — perché la Banca centrale è l’unico potere europeo forte». E aggiunge: «Non democratico». Le difficoltà assumono oggi i tratti dei nazionalismi, delle divisioni frutto della paura di fronte alle nuove sfide poste dalla crisi economica, dalle migrazioni diventate ingestibili dopo le guerre di Libia e Siria, dalla mancata crescita, che hanno fatto sì che «ogni Paese europeo mettesse in soffitta la politica della solidarietà a favore dei propri interessi nazionali». Ed ecco che si fa lampante, per Prodi, l’«assenza di una leadership che non sia quella tedesca, in grado di farsi carico dei problemi di tutti». Ma soprattutto che «si renda conto che nessun Paese può farcela da solo nel futuro del mondo».
Prodi invoca unità. Sollecita una politica comune sull’immigrazione, spinge per «un progetto comunitario di sviluppo che si basi sulle infrastrutture vecchie e nuove» (strade e ferrovie, ma anche banda larga), raccomanda una «politica energetica europea» e sostiene la necessità di una posizione unitaria in tema di politica estera e pure nel campo della ricerca scientifica. Nel futuro del continente, infine, intravede un’«Europa a più velocità»: «Un circolo di Paesi, quelli dell’euro, che la storia obbligherà a unirsi anche se non nell’imminente futuro — osserva — e altri che con l’Unione avranno buoni rapporti, commerciali e culturali, ma senza farne parte, Turchia compresa».
Prodi non lesina nemmeno battute (pungente quella sul progetto Erasmus, formidabile «strumento di coesione», ma che «ha sfornato più bambini che premi Nobel») e il racconto di episodi, come quello che lo vide protagonista, all’indomani della sua elezione alla presidenza del consiglio nel 1996, dell’incontro con l’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl: «“È stato un bel colloquio” mi disse accompagnandomi all’elicottero, “chi viene la prossima volta?”».
«Sull’orlo del precipizio Nel vecchio continente nessuna corporation», S. Pagliuca, "Corriere del Trentino", 22 settembre 2016
PERGINE «L’Europa? È sull’orlo del precipizio. Se non cambiamo qualcosa in fretta, siamo destinati a scomparire». È pessimista, Romano Prodi. E, dopotutto, non potrebbe essere altrimenti di fronte a un’Europa che l’ha deluso, tanto.
«Non abbiamo un’unione politica, non abbiamo investito nella scuola, né abbiamo qualificato le nostre professioni, ma soprattutto non abbiamo creato innovazione» lamenta l’ex primo ministro intervenuto a Pergine per discutere di un mondo che rallenta e di fronte al quale è necessario trovare un «piano B». Da qui, la riflessione sulla colpevole mancanza di «caravelle europee», ovvero di grandi player delle nuove economie. «Google, Amazon, Alibaba, Apple, Ebay: nessuna di queste società è europea. Eppure queste oggi sono le corporation che guidano il mondo» rileva il professore. A bloccare lo sviluppo, secondo lui, le dimensioni troppo piccole dei nostri mercati, ulteriormente rimpiccioliti dall’incapacità degli stati europei di fare sistema. «E non pensi la Germania di poter fare da sola — avverte Prodi — nessuno è in grado di fare da solo». Già, nessuno, neanche le banche, oggetto di un cambiamento epocale con la riforma del credito cooperativo di fronte alla quale nessuno può tirarsi indietro: «Capisco l’importanza della vicinanza al territorio, ma anche le Casse rurali del Trentino dovranno fare uno sforzo ed evolversi verso una dimensione nazionale. Altrimenti, non ce la faranno».
E a non farcela potrebbero essere anche i giovani, sempre più costretti a espatriare: «Io stesso ho sei nipoti che lavorano tutti all’estero — confida Prodi — Inoltre, l’avanzare delle nuove tecnologie ha creato il dramma dei lavori futuri: intere classi di professioni sono scomparse, in favore di una piccola fetta di lavoratori altamente specializzati». Il tutto, con una profonda ricaduta nell’economia reale: «In Italia, sono calate le vendite in tutti gli ambiti, anche nel low cost. Un giovane che guadagna a mala pena come può fare acquisti? E al tempo stesso, le imprese, senza domanda, come possono investire?». La chiave, dunque, può essere dotarsi di un orizzonte più ampio, realmente globale, compito in cui anche il Trentino può giocare la propria parte: «Dobbiamo lavorare sulla dimensione delle nostre imprese, puntare all’internazionalizzazione, spostando l’attenzione sulla qualità sociale — commenta il presidente della PAT, Ugo Rossi — in questo senso, il Trentino può esportare moltissimo, in termini di valori ambientali, culturali e di civiltà».