Romano Prodi è appena rientrato da Roma, dove lunedì ha partecipato ai funerali di Carlo Azeglio Ciampi: la sua agenda, sempre molto fitta, è stata ribaltata, ma l’intervista sulla sua giornata di oggi in Trentino è confermata. Un piccolo segno di quanto l’ex presidente dell’Unione europea e del governo italiano tenga alla nostra realtà.
E. Franco, "Corriere del Trentino", 21 settembre 2016
Professore, il suo legame con il Trentino è decisamente forte, e non solo perché qui ogni tanto dà sfogo alla passione ciclistica… Dalle varie visite istituzionali al Premio Degasperi «Costruttori d’Europa» che le è stato conferito nel 2014, le dimostrazioni non mancano.
«Certo, basti ricordare come sia stato tra coloro che hanno lavorato al primo piano urbanistico provinciale e che ho anche insegnato all’Università di Trento. È quindi un legame che risale a molti decenni fa. Domani (oggi per chi legge, ndr ) vado a San Michele e mi ricordo quando cominciavano ad avere la prima apparecchiatura sperimentale per lo spumante».
A proposito di legami, ve ne sono diversi anche tra i due incontri di San Michele e Pergine: attenzione al mondo della ricerca, attenzione ai giovani, attenzione alle politiche per la crescita economica.
«Trento, anche per tutta una serie di circostanze particolari, è uno dei pochi luoghi in cui la ricerca è aumentata e i fondi a essa dedicati sono cresciuti. Non solo: qui sono lievitati i posti per i ricercatori, quindi è uno dei rari centri di attrazione dei giovani. È chiaro che ha giovato molto l’autonomia, ma anche le scelte fatte hanno avuto un peso determinante. In un Paese in cui — nell’ambito universitario e della ricerca — non vi sono più fondi e mezzi, Trento rimane una delle poche eccezioni».
Ciò spiega anche i risultati economici del Trentino?
«Non c’è alcun dubbio. Quando facevamo il primo Piano provinciale, il Trentino risultata una delle aree più povere del Nord. Mi ricordo il livello dei redditi della Val Rendena o di altre zone che erano al di sotto di ogni immaginazione. Il progresso è stato consistente e adesso, secondo me, la strategia deve puntare ad approfondire i legami internazionali della ricerca e della produzione, perché Trento e Bolzano si trovano nella congiunzione tra mondo latino e mondo germanico, in uno dei punti più interessanti dell’Europa».
Dunque, nel momento in cui l’Italia fa i conti con la scarsa crescita, il Trentino-Alto Adige/ Südtirol ha una chance particolare?
«Sì, non che siano rose e fiori, poiché risentiamo tutti della crisi europea. Ma questi territori hanno più opportunità di rimanere attaccati alla parte innovativa del Continente e al mercato nord-europeo. Anche se l’Europa non va molto bene — credo che dal punto di vista politico non siamo mai arrivati così in basso — non ci sono rischi di rottura del mercato europeo. Sarà comunque più difficile, perché l’esportazione non è più trainante».
Ultimamente lei si è concentrato molto nell’analizzare il tema della disuguaglianza, in cui sicuramente possiamo includere la questione giovanile. È preoccupato al riguardo?
«Per l’Italia la questione giovanile è gravissima. È una delle aree da cui i ragazzi emigrano: è impressionante e il fenomeno non cala. Soprattutto lasciamo che se ne vadano i giovani di alta qualità: ecco perché è così importante che almeno in qualche parte del Paese si attraggano forze specializzate. Ormai la nostra emigrazione nutre mezza Europa con specialisti di alto livello. Mi ha colpito un dato, ossia vedere che il flusso coinvolge pure gli immigrati di seconda generazione: i più bravi hanno iniziato a lasciare l’Italia».
In altre parole: i padri sono venuti in Italia a cercare fortuna, i figli scappano per la stessa ragione.
«Sì, quelli bravi vanno altrove».
Tornando alla visita a San Michele e alla Fondazione Mach (coinvolta nel progetto Human Technopole nell’area milanese liberata dall’Expo), il momento di grazia che caratterizza tutto quanto riguarda l’agricoltura, l’enogastronomia, il green può essere una leva di forza per l’economia locale?
«Non c’è dubbio che la produzione agricola trentina sia molto specializzata. Mele e vino sono destinate al mercato mondiale, non a quello locale se non in una quota residuale. Per il vino la presenza di San Michele non è stata certo secondaria, anche se molti allievi vengono da altre regioni. Direi che San Michele ha influito in modo decisivo nel creare un’eccellenza».
Professore, un’ultima questione: recentemente una delegazione trentina si è recata in Cina per sondare spazi di interscambio economico. Lei conosce bene la Cina ed è un attento studioso delle dinamiche asiatiche che osserva direttamente visitando quei Paesi: una realtà piccola come il Trentino può avere delle opportunità in proprio, oppure deve comunque agganciarsi al sistema Paese?
«Propendo per la seconda ipotesi. In tutte le esperienze che ho visto, o uno ha una specializzazione unica (ad esempio macchinari che nessun altro produce), oppure in Cina bisogna andarci con dei grandi muscoli. Difficile andarci con le piccole dimensioni».
Vale anche per il turismo?
«Sì. I flussi cinesi sono enormi, non è facile avere un nome in un mercato così grande. Per il turismo, insomma, è ugualmente complicato affermarsi perché è difficile far conoscere il marchio Trentino o di qualsiasi altra regione. Non bisogna rinunciare, ma muoversi insieme come sistema Paese. È anche interesse del Trentino: ho visto spendere tanti soldi in Cina dalla regioni italiane e poi chiudere bottega perché non avevano la dimensione minima necessaria. A meno che, ripeto, non si abbia una nicchia specialissima da proporre».