«Questa riforma non elimina il regionalismo». Parola di Maria Elena Boschi. La ministra per le riforme costituzionali lo ha assicurato ieri, a Tenna, di fronte alla platea di Democrazia solidale, riunita all’Hotel Margherita per una riflessione su «Italia, Europa, Mondo».
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 3 settembre 2016
Quanto alle Speciali, ha aggiunto, «dovremo condividere d’intesa con le Regioni le modifiche conseguenti alla riforma costituzionale ed io me lo ricordo bene perché Lorenzo ed altri amici mi hanno chiuso nella mia stanza alla Camera non so quante ore, si è sfiorato il sequestro di persona».
Nei quarantuno minuti di intervento, è stato l’unico momento in cui l’esponente del governo ha strappato, se non un applauso, almeno una risata a una sala piuttosto tiepida. Boschi è intervenuta al dibattito facendo sapere prima che non avrebbe risposto alle domande dei giornalisti. Terminata la lectio dell’ex ministro Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio) su «Il tempo delle periferie», Boschi si è prodotta nella sua apologia della riforma costituzionale. Gli argomenti generali sono l’assoluta necessità di una revisione costituzionale e il fatto che questa «rappresenta una tessera all’interno di un puzzle più vasto», l’insieme delle riforme del governo: quelle fatte e quelle bloccate da un iter parlamentare di certo non celere. «Il senso dell’urgenza» della revisione costituzionale — ha ricordato — non è «un’invenzione del governo», ma risale al discorso del secondo insediamento di Giorgio Napolitano, del 22 aprile 2013, quando il Capo dello Stato accettò il secondo, inusuale, incarico ammonendo il Parlamento circa la necessità «di una nuova legge elettorale e di una riforma costituzionale, anche per ridare fiducia in se stesso al Paese». Insomma, la riforma «non è un’arma di distrazione di massa», è necessaria. «Al Paese serve un sistema più stabile, più semplice e più efficace». I motivi sono noti: la necessità di una programmazione statale libera dall’ansia del voto dietro l’angolo, fare in modo che all’estero non debbano cambiare interlocutore ogni anno, approvare le leggi in tempi più rapidi. C’è poi «la riduzione delle poltrone da 315 a 100 (quelle dei senatori, ndr ) e senza indennità». Un obiettivo «che non è il principale della riforma, ma fa parte degli impegni presi con i cittadini».
L’accenno al Senato è l’occasione per parlare della riforma del Titolo V, «un tema poco dibattuto» di cui, a livello nazionale, si sa poco e niente, ma che in Trentino è sentito perché, secondo i critici, rappresenta la pietra tombale sul regionalismo italiano, dato che riporta in capo allo Stato tutte le materie concorrenti delle Regioni a statuto ordinario.
«C’è chi dice che il Senato potevamo abolirlo, ma mancava la condivisione necessaria proprio al Senato». Di qui, sembra di capire, la scelta di fare di necessità virtù e istituire una camera delle Regioni, qualcosa «di molto diverso dalla Conferenza Stato-Regioni». Un modo per «valorizzare le istituzioni territoriali, compresi i Comuni» e per «attuare l’articolo 5 della Costituzione» («La Repubblica [...] attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo», ndr ). Pertanto, «il disegno costituzionale che presenta questa riforma non elimina il regionalismo. È un modello che porta a dire “io do maggiori margini autonomia alle Regioni che sono virtuose”. Un regionalismo virtuoso e differenziato», per altro già previsto, anche se mai attuato, dall’attuale Costituzione. «Al tempo stesso c’è una visione unitaria, a tutti gli stessi servizi e diritti, e una semplificazione» che eviterà «i contenziosi in Corte costituzionale» e renderà la vita più facile «a chi si sposta, o sceglie di investire nel nostro paese».
Infine, a riprova che questa «non è una riforma che comprime gli spazi di democrazia», «l’introduzione del referendum propositivo e l’obbligo per il parlamento di deliberare su proposte di legge di iniziativa popolare». Insomma, un equilibrio «tra democrazia rappresentativa e partecipazione». Difficile poi, in futuro, «trovare maggioranze altrettanto ampie».
Poco prima, Lorenzo Dellai, organizzatore dell’evento, aveva ribadito il «Sì» di Democrazia solidale «nello stile di Martinazzoli, frutto non di una tifoseria acritica, ma di un ragionamento anche sofferto». E, infatti, «alcune ragioni del No vanno assunte come stimolo per miglioramenti successivi», in particolare perché la riforma non sia «un artificio per normalizzare, ma per elaborare un’autonomia responsabile».
Analoga la posizione di Ugo Rossi, presente in sala, che con Boschi aveva parlato prima al telefono. «Il nostro sì non è in discussione, come ho già detto. Ciò che abbiamo chiesto è un impegno politico per il futuro dell’autonomia per rafforzare le ragioni del sì. Boschi mi ha detto che verrà in Trentino in occasione della campagna referendaria. Personalmente — ha concluso il governatore — penso che la riforma sarà uno stimolo all’attuazione di un regionalismo differenziato. Come ho già detto anche a Renzi, non si cambia l’Italia senza Veneto e Lombardia».
Molti i volti noti presenti in sala. Tra gli altri, per il Pd Italo Gilmozzi, Elisabetta Bozzarelli, Alessio Manica e Bruno Dorigatti. Per l’Upt Tiziano Mellarini, nonostante le ferie, Gianpiero Passamani e Mario Tonina. Per il Patt Franco Panizza e Mauro Ottobre.