D’accordo su tutta la linea: «E sarebbe grave se fosse altrimenti». Del progetto di sviluppo dell’azienda sanitaria trentina tracciato dal suo direttore Paolo Bordon (Corriere del Trentino di mercoledì), Luca Zeni approva ogni parola: «Si tratta di ragionamenti che condividiamo quasi quotidianamente».
E. Ferro, "Corriere del Trentino", 2 settembre 2016
Ecco allora che il progetto da 2 milioni di euro per la creazione di un’area di terapia a bassa intensità all’ospedale Santa Chiara incassa il parere favorevole dell’assessore alla salute: «Le risorse ci sono ed è volontà della Provincia muoversi velocemente». «Sicuramente condivisibili in termini generali» le riflessioni di Bordon anche per il presidente dell’Ordine dei medici Marco Ioppi, che ricorda l’importanza di «puntare su una tipologia di lavoro di collaborazione multiprofessionale, nel rispetto dei ruoli e dell’indipendenza di ciascuno».
La rete
In questo senso anche Zeni invita a non creare contrapposizioni. Il riferimento è al piano di riorganizzazione della rete territoriale dei medici di medicina generale secondo il modello delle aggregazioni, che riscuote consensi fra gli infermieri, che Bordon intende «valorizzare», e malumori fra i medici (Corriere del Trentino di ieri). «Basta solo capirsi su “chi fa cosa” e riconoscere i rispettivi ruoli — osserva Zeni — I bisogni sono in aumento, dunque non c’è il rischio di una reciproca sottrazione di spazi. Ci sono determinate casistiche di intensità più alta che necessitano la supervisione del medico, altre di tipo maggiormente assistenziale per le quali si possono immaginare percorsi in cui l’infermiere goda di più autonomia».
«No ai contrasti»
In che modo le competenze e la professionalità degli infermieri si intersechino con il processo di riorganizzazione della medicina di base in direzione delle aggregazioni, uno dei capitoli sanitari più critici, «rimane una questione aperta e importante — precisa l’assessore — ma sbaglieremmo a mettere in contrapposizione le due categorie».
«Soluzione a fine mese»
Nonostante lo scetticismo del segretario generale della federazione Cisl medici provinciale Nicola Paoli (Corriere del Trentino di ieri), Zeni è ottimista: «All’inizio di agosto c’è stato un incontro risolutorio anche con i sindacati che ha sbloccato la situazione — dichiara — L’impegno è di definire entro settembre le modalità di organizzazione più nel dettaglio». Il modello è quello annunciato da Bordon: «Strutture che mettano fisicamente insieme più medici nei centri urbani, dove è più facile realizzarle — spiega l’assessore — mentre sui territori, anche quelli più periferici, creare una rete di dottori che condividendo online le cartelle cliniche dei pazienti possano essere a disposizione non esclusivamente per i propri».
Le nuove strutture
La riorganizzazione della medicina del territorio, secondo Ioppi, ha «importanza strategica» e «deve costituire strumento di organizzazione sanitaria per le situazioni di cronicità, incluse le riacutizzazioni che non necessitano di assistenza ospedaliera». Reputa «interessante», quindi, la proposta di Bordon di sviluppare delle strutture intermedie che si occupino della presa in carico dei pazienti non ancora pronti per essere dimessi, ma non così gravi da rimanere in ospedale, soprattutto anziani: «Potrebbe costituire l’ipotesi di un progetto che da una parte prevede la riduzione di degenza ospedaliera con una dimissione precoce e dall’altra una presa in carico del paziente ristabilito nelle sue funzioni fisiche e psichiche da parte della medicina territoriale — commenta Ioppi — Si stabilirebbe, inoltre, un esempio di collaborazione tra professionisti ospedalieri, specialisti territoriali, professionisti della struttura e il medico di medicina generale di riferimento». Il presidente dell’Ordine assicura «collaborazione e sostegno» al progetto di riorganizzazione, sottolineando come «la sanità non debba essere fatta oggetto di meri calcoli di tipo economico», che il «capitale umano va valorizzato» e ribadendo, pur nell’importanza della «collaborazione multiprofessionale», la necessità di «non attribuire elementi caratterizzanti una professione sanitaria ad altre che non le competono».
Accelerazione
Intanto, però, il progetto di adeguamento dell’ospedale Santa Chiara avanzato dal direttore sanitario con la realizzazione di spazi a bassa intensità per permettere l’espletamento di attività chirurgiche ora compresse, incassa il via libera della Provincia, che rilancia la questione: «In attesa del Not (oggi la giunta delibererà il bando di progettazione) è chiaro che per alcuni anni il Santa Chiara dovrà essere mantenuto in massima efficienza – sottolinea Zeni – per questo è nostra volontà accogliere questa proposta migliorativa per l’organizzazione dell’attività chirurgica: la realizzazione pratica è al vaglio dell’Azienda sanitaria, ma le risorse (2 milioni di euro, ndr) ci sono e prevediamo di muoverci velocemente».
L'intervista a Paolo Bordon ("Corriere del Trentino", 31 agosto 2016): «È un Trentino sempre più vecchio Così organizzerò le nuove necessità»
Mettere ordine, smussare qualche angolo, organizzarsi per affrontare gli ostacoli che verranno nei prossimi decenni. La prospettiva entro la quale Paolo Bordon inserisce la propria gestione dell’azienda sanitaria è ampia nel tempo ma si sviluppa su base solida. «Sarei presuntuoso se dicessi che dopo quattro mesi conosco l’azienda» ha sottolineato ieri il direttore nel corso del forum svoltosi nella sede del Corriere del Trentino . I nodi di oggi e domani, però, sono già chiari: valorizzare alcune figure che nel Trentino di domani, più longevo, avranno un ruolo sempre più rilevante, e partendo da questo stesso assunto, rivedere i compiti delle strutture territoriali.
Direttore, qual è il bilancio di questi primi mesi di attività?
«L’azienda sanitaria è un’organizzazione molto complessa, con circa 8.200 dipendenti. Ho ricevuto molte conferme rispetto all’idea che avevo dall’esterno del sistema trentino, vale a dire una realtà con ottimi livelli di performance. Partiamo dunque da una situazione molto buona, potendo contare su dotazioni tecnologiche all’avanguardia: abbiamo a disposizione strumenti in grado di fare la differenza, come il robot chirurgico “Da Vinci”, un programma di screening oncologico della mammella effettuato con la tomosintesi, il top, nessuna azienda pubblica in Italia può farlo, e il centro di protonterapia».
In quest’ultimo caso si è trattato di un investimento da oltre 100 milioni di euro. Una spesa sensata?
«Se guardassimo alle necessità locali assolutamente no, ma è chiaro che la scelta è stata fatta per un bacino di 15 o 20 milioni di persone, delle dimensioni del Nord Italia con possibili sviluppi internazionali. Il break even è fissato intorno ai 700 esami l’anno. Oggi se ne fanno circa 180 ma due anni fa erano 60. Il break even arriverà, anche se forse non il prossimo anno o quello successivo. Sarebbe interessante completare l’offerta ampliando il trattamento all’occhio, che oggi non riusciamo ad affrontare, con cifre minime rispetto all’investimento iniziale. Si sono fatti dei passi avanti e l’introduzione delle prestazioni nei Lea migliorerà la situazione».
Come si sta evolvendo questo fronte?
«La situazione si sta sbloccando. Dopo la prima fase con il passaggio nella conferenza Stato-Regioni ora è prevista la discussione in commissione tecnica. Esiste già un semaforo verde, anche se oggi la prestazione passa ancora attraverso l’autorizzazione dei distretti. Intanto è in corso un dibattito scientifico molto acceso sull’efficacia della tecnica, con documentazione che dimostra sempre più gli effetti positivi della protonterapia rispetto alle cure con fotone tradizionale. Credo sarebbe utile organizzare qui a Trento, entro il 2017, un convegno scientifico di livello internazionale per ribadire la possibilità che questo territorio offre, sia alla parte clinica sia, cosa prevista con saggezza, alla ricerca».
Crede dunque di avere a disposizione tutti gli strumenti per affrontare le sfide del prossimo futuro?
«Disponiamo di tecnologie molto avanzate e una dotazione di risorse, seppure in un sistema con disponibilità calanti, congruo per ciò che ci attende».
Quindi sa già che le risorse a disposizione dell’azienda caleranno?
«Non ho alcun elemento per dirlo. Non mi aspetto di averne di più, ma nemmeno qualcuno mi ha detto che dovremo lavorare con meno. Per il sistema politico trentino, il welfare si trova forse all’apice tra le priorità. E del resto questo sarà uno dei temi principali del prossimo futuro».
In che senso?
«La popolazione del Trentino sta invecchiando e il tasso di natalità è sempre più basso. Proprio oggi (ieri, ndr ) ho confrontato i dati: nel 2012 si sono registrate 4.950 nascite, mentre la proiezione per il 2016 è di 4.100. Significa 800 bambini in meno, un calo del 20%. Serve agire adesso per essere pronti fra dieci anni, affrontando il tema anche in settori che esulano dal mio. Una popolazione che invecchia convive con tante patologie croniche, gestibili, ma che richiedono uno sviluppo più adeguato della rete territoriale».
Cosa immagina in tal senso?
«I distretti hanno avuto un ruolo importante in questi anni, ma forse necessitano di maggiore integrazione per fornire le risposte che verranno richieste. La riforma ha messo ordine nel sistema ospedaliero, chiarito i compiti, ma il coperchio da aprire resta quello della parte territoriale, con la definizione dei ruoli della medicina generale. A tutto ciò si collega l’assistenza infermieristica. Anche in questo caso va detto che il servizio è ben sviluppato, ma è probabile che serva lanciare un modello in cui sia prevista maggiore autonomia organizzativa e gestionale delle capacità infermieristiche».
Ha già in mente uno schema?
«Quello friulano, con i centri medici aggregati che lavorano più o meno dodici ore al giorno, condividendo i pazienti, è molto più avanti da questo punto di vista. Qui abbiamo a disposizione il fascicolo sanitario informatico, uno strumento che il Trentino ha sviluppato come nessun altro, e dobbiamo costruire una condizione organizzativa che consenta di sfruttarlo al meglio. Una leva per lo sviluppo sono quindi i medici, un’altra è studiare modelli che valorizzino figure professionali come gli infermieri o i fisioterapisti, che ogni giorno gestiscono migliaia di utenti, e ai quali va data più autonomia e responsabilità. In Olanda o in Danimarca esistono sistemi di welfare di questo tipo, con risultati già validati».
In tema di strutture e dotazioni tecnologiche, crede siano necessari degli interventi sull’ospedale Santa Chiara in attesa che il Nuovo ospedale trentino veda la luce?
«Va innanzitutto detto che se la riforma ha definito chiaramente i mandati tra centro e periferie, l’organizzazione del Santa Chiara è rimasta un passo indietro. Non sono necessari stravolgimenti, però bisogna prevedere alcuni interventi organizzativi, nonché strutturali, per rispondere adeguatamente alle esigenze».
Cosa intende?
«Gli ospedali periferici, in alcuni casi simili a cliniche svizzere, non sono un peso ma una risorsa perché danno risposte a patologie croniche che altrimenti avrebbero una ricaduta pesante su altri luoghi, Trento in particolare. Oggi la struttura non è adeguata alla mission. In attesa del nuovo ospedale, che consentirà di rispondere alle esigenze, ho presentato un progetto di adeguamento del Santa Chiara al presidente e all’assessore. Si tratta di interventi per un ammontare di due milioni di euro».
A quali emergenze consentirebbe di fare fronte?
«In particolare a quelle legate alle terapie intensive. Spesso registriamo criticità che frenano l’attività dei chirurghi, impossibilitati a trovare dei posti letti per i pazienti. Sono posti occupati da altri pazienti troppo gravi per transitare in degenza, ma che potrebbero essere ospitati in una struttura intermedia. Il progetto, che credo sarà accolto, riguarda proprio la realizzazione di spazi a bassa intensità che consentiranno da qui a un anno di gestire con migliore efficacia questa pressione. Del resto il ruolo dell’ospedale di Trento è duplice: rispondere ai bisogni della città e dei suoi dintorni, ma allo stesso tempo deve occuparsi anche di patologie più gravi che riguardano numeri complessi e bacini più ampi, coma la cardiochirurgia o la neurochirurgia. L’investimento deve quindi essere sulla continuità assistenziale tra l’ospedale e il territorio, con strutture intermedie che si occupino della presa in carico dei pazienti non ancora pronti per essere dimessi ma non così gravi da rimanere in ospedale. Parlo soprattutto di anziani».
Immagina, quindi, la nascita di nuove strutture?
«La necessità esiste per Trento, che sconta la mancanza di una struttura di tipo territoriale, a basso tasso di medicalizzazione ma con una forte gestione infermieristica. Serve un polmone, una struttura gestita da figure assistenziali con la consulenza di medici specialisti. Questa, io credo, è una priorità. Bisogna trovari gli spazi: penso a una ventina di posti letto, per ricoveri di una decina di giorni».
Se tutto ciò riguarda la progettazione futura, esistono temi più caldi come quello dei punti nascita. I primi bandi anno deluso le aspettative, a che punto siamo adesso?
«I concorsi per pediatri e anestesisti sono in corso. Abbiamo pensato a nuove forme di ingaggio, anche inusuali: abbiamo comprato spazi pubblicitari su riviste specializzate, inviato newsletter, coinvolto associazioni. E il risultato si è visto. Nel caso degli anestesisti, le domande sono state 57, più del doppio rispetto alle 20 della scorsa volta. A preoccuparmi sono però i posti da pediatra. Ne servono 12 ma, al di là del numero di domande che riceveremo, dovremo vedere quanti poi prenderanno servizio perché spesso partecipano a concorsi in più località. C’è il rischio che, di fronte alla prospettiva di dover andare a lavorare in periferia, preferiscano optare per altre soluzioni».
Esiste quindi il rischio che, dopo il grande dibattito sviluppatosi per salvarli, chiudano comunque?
«Non sono affatto salvi, l’ho sempre detto». «La deroga scade a fine settembre. A breve il ministero inizierà a raccogliere informazioni sullo stato dell’arte. Poi è prevedibile che arriverà un’ispezione ministeriale, e se non ci saranno le condizioni richieste, non sarà possibile rinviare. La volontà politica è di mantenerli aperti, e lo sforzo dell’azienda è in questa direzione, ma poi bisognerà fare i conti con la realtà».