Per gli interessati e per coloro che non hanno potuto partecipare, riassumo le principali argomentazioni portate da relatore e pubblico. Vuole essere solo un promemoria da meditazione, mi scuso per eventuali errori o inesattezze. Il primo obiettivo dell’incontro era un dibattito pacato e costruttivo sul quesito referendario; questo è stato ampiamente raggiunto.Ezio Trentini, 1 settembre 2016
Ceccanti: parte dai problemi da cui nasce la riforma. Un primo problema spesso sottovalutato: noi abbiamo due camere con una base elettorale molto diversa. Il suffragio universale c’è solo alla camera, dove votano tutti i cittadini maggiorenni, mentre al senato si vota dai 25 anni. Quindi abbiamo 7 classi di età, pari a 4,5 milioni di elettori, un elettore su dieci vota solo alla camera e non al senato. In una situazione culturale di appartenenze deboli, la probabilità che i risultati vengano diversi, è elevatissima. Nella cosiddetta prima repubblica infatti, in cui c’era un grosso senso di appartenenza politica e la gente votava lo stesso partito alla camera ed al senato ed i figli votavano in larga parte come i genitori, una volta fatto lo spoglio delle schede del senato si poteva andare a dormire, sapendo che le percentuali della camera non si sarebbero scostate di molto.
Se andiamo ad analizzare i risultati delle elezioni nella cosiddetta seconda repubblica viene fuori che in due terzi dei casi i risultati del senato sono diversi da quelli della camera.
Ciò significa che avere due camere che danno la fiducia al governo partendo da schieramenti diversi è una “propensione masochistica”. Andiamo a vedere i numeri: nel ’94 Silvio Berlusconi vince nettamente alla camera dei deputati ma non al senato. Per avere la fiducia al senato deve “convincere” un certo numero di senatori, nel periodo tra le elezioni e quello del voto di fiducia al governo. E infatti, grazie ai cosiddetti “transfughi”, Berlusconi riesce a formare il governo. Nel ’96 Romano Prodi vince le elezioni con un risultato autosufficiente al senato, invece alla camera dipende da Bertinotti. Cosa abbia comportato il dipendere da Bertinotti si è visto due anni dopo. 2001: Berlusconi vince alla camera ed al senato, ma solo perché Bertinotti al senato ha presentato suoi candidati, non ripetendo la desistenza fatta alla camera. Con la legge Mattarella due elezioni su tre hanno dato risultati diversi tra camera e senato. Passiamo alla legge Calderoli. Nel 2006 Romano Prodi vince le elezioni alla camera ma non le vince al senato. Per riuscire ad ottenere la fiducia deve ricorrere ai voti dri senatori a vita e a quelli degli italiani all’estero, il cui costo si vedrà nelle due successive finanziarie. Da notare per di più che se al senato ci fosse stato il premio di maggioranza nazionale, come alla camera, questo sarebbe andato al centrodestra, che aveva ottenuto più voti del centrosinistra, creando una situazione di due opposte maggioranze tra camera e senato. Quello che poi è successo fino al 2016 è sotto gli occhi di tutti e solo un masochista può continuare a sostenere che il governo debba ottenere la fiducia da due camere diverse.
Non esiste nessun’altra democrazia parlamentare in cui si voglia correre il rischio di affidare la sorte del governo a due camere distinte.
A questo punto arriva la parte complessa della riforma: una volta tolta al senato la facoltà di dare la fiducia al governo, cosa se ne fa? Una scuola più semplicistica propone di farne un bel museo, palazzo Madama, un bellissimo posto...., ma c’è ancora un problema da risolvere: in Italia le leggi vengono fatte, oltre che il parlamento, dalle regioni. Basta specificare bene cosa fa lo stato e cosa le regioni? Questo non è del tutto vero, perché le leggi nascono per risolvere dei problemi ed un problema spesso può essere risolto sia con una legge regionale che con una legge nazionale, e l’articolo 117 che stabilisce le due diverse competenze, per quanto ben scritto lascia delle zone d’ombra. In effetti al momento il meccanismo non funziona e si accumulano i contenziosi alla Corte Costituzionale. Cosa hanno fatto gli altri stati con amministrazioni decentrate? Hanno creato una camera di compensazione che rappresenta i legislatori regionali. Il più noto e funzionante è il modello tedesco, ma questo non si poteva trasferire pari pari da noi per l’attuale squilibrio tra le regioni governate dal centro sinistra (80%) e le altre, che avrebbe portato, sul primo senato, ad una maggioranza schiacciante del centro-sinistra. Si è quindi ricorsi ad un compromesso che però ha soddisfatto la maggioranza dei parlamentari ed assicurerà una diminuzione dei contenziosi stato-regioni presso la corte costituzionale.
Su questo secondo punto è difficile dare delle valutazioni quantitative, con sicurezza si può dire che la situazione migliorerà, di quanto difficile dirlo.
Sul primo punto invece, con una sola camera che dà la fiducia, è chiarissimo che il problema della ingovernabilità è risolto, chiunque vinca le elezioni.
Potì (Predaia): a proposito di transfughi per puntellare i governi a cui accennava Ceccanti, faccio notare che anche il PD, per approvare questa riforma, ha avuto bisogno di transfughi non proprio presentabili, parlo di Verdini e compagni del partito Ala, personaggi indagati anche per atti contro le istituzioni, e questo svergogna un po’ tutto quanto deciso, anche se personalmente apprezzo la riforma per la diminuzione del numero dei parlamentari e lo snellimento del meccanismo di formazione delle leggi.
Ceccanti: La legislatura è partita con un accordo di governo Bersani-Berlusconi che comprendeva anche l’impegno a fare le riforme. Questo accordo non comprendeva transfughi, poggiava su una maggioranza molto solida. L’accordo poi si è rotto, per motivi che nulla c’entravano con le riforme, tanto è vero che alcuni Berlusconiani, tra cui Verdini, sulle riforme hanno continuato a votare come votavano prima. Quindi Renzi non ha fatto un accordo con Verdini, ma ha continuato il percorso con quelli rimasti fedeli all’accordo iniziale, questo è il decorso corretto della legislatura.
Fumei (turista veronese): secondo i sostenitori del NOi padri costituenti hanno scelto di fare due camere equipollenti per evitare rischi autoritari, come nel caso di Mussolini, lei cosa risponde ?
Ceccanti: ai tempi di Mussolini c’era lo statuto albertino, modificabile con legge ordinaria, e non c’era una Corte Costituzionale, per cui la situazione non sarebbe comparabile. Tuttavia l’argomento è legato alla legge elettorale; questa può essere cambiata con legge ordinaria, vediamo però la situazione con la legge vigente. Si dice che porti a concentrare il potere sul vincitore. Questo sarebbe vero se chi vince le elezioni alla camera potesse impadronirsi degli organi di garanzia che non c’erano sotto lo statuto albertino. Il più forte contropotere del nostro ordinamento è la Corte Costituzionale che può smentire maggioranze. Il parlamento elegge solo 5 giudici costituzionali su 15 e durano 9 anni. Nel corso di una legislatura in media scadono due giudici costituzionali eletti dal parlamento, la riforma costituzionale ne da uno eletto dalla camera ed uno dal senato, con 3/5 dei componenti, che significa il 60% a scrutinio segreto. Né alla camera, dove chi vince col premio avrà il 54%, né al senato, dove vige la proporzionale, è possibile che a scrutinio segreto venga superata quella percentuale, viste anche le ultime esperienze di elezione del presidente della repubblica. E questo non vale solo per il PD, ma anche M5S e centrodestra abbiamo visto ultimamente come siano passibili di defezioni. Analogo ragionamento si potrebbe fare per l’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura, dove comunque il parlamento elegge 8 dei 24 membri e per l’elezione del Presidente della Repubblica dove il quorum è nettamente superiore a quello ottenuto dal vincitore delle elezioni. Quindi chi vince le elezioni può governare ma non ha un potere tale da impadronirsi degli organi di controllo.
Postal (Predaia): La costituzione è la legge fondamentale della repubblica ovvero il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello stato. E’ la terza volta nel giro di pochi anni che veniamo chiamati ad esprimerci su referendum costituzionali. Persone autorevoli danno giudizi opposti su questa modifica della costituzione, mi chiedo quanti italiani siano in grado di giudicare autonomamente e di valutare i contenuti e gli effetti del voto per il SI’ o per il NO. Non si poteva evitare in questo momento? Lei mi ha chiarito molte cose, ma secondo me ci sarà un sacco di gente che va a votare senza sapere per cosa vota.
Ceccanti: La Costituzione che noi elogiamo dice che le riforme si fanno così: o c’è un accordo amplissimo a 2/3 per cui le riforme vanno in automatico oppure c’è una maggioranza inferiore ai 2/3 ed allora si va a votare. Nessuno chiede di fare una valutazione specialistica dei contenuti, il parlamento ha votato 6 volte a maggioranza una certa modifica e il cittadino in coscienza farà le sue valutazioni chiedendosi se le modifiche siano migliorative o peggiorative.........così funziona il suffragio universale e prevede la costituzione. Chi ha promosso la riforma pensa che la costituzione come è adesso non vada bene e la costituzione in questi casi prevede, se non si raggiungono i 2/3, che i cittadini si esprimano. Dobbiamo applicare la costituzione, non ci sono alternative.
La Verde (Predaia): dopo aver espresso il suo gradimento per la “impeccabile, cartesiana” introduzione di Ceccanti, osserva che i problemi politici non si risolvono purtroppo con l’ingegneria costituzionale. L’assemblea costituente è stato l’incontro tra cattolici e comunisti, per dare una struttura legislativa della nuova Italia; con il pesante riflesso del regime fascista si decise di limitare con due camere il potere dell’esecutivo. Questo indebolimento dell’esecutivo ha portato ad esempio Prodi a fare un programma di 230 pagine in cui c’era tutto ed il contrario di tutto. Oggi la riforma, pienamente condivisa, restituisce al governo le sue responsabilità. Quindi bene il mettere l’accento, più che sull’ingegneria costituzionale, sulle motivazioni politiche di questa riforma.
Ceccanti coglie l’occasione per ricordare il tortuoso percorso del testo della costituzione dopo che c’è stata la rottura tra comunisti e democristiani tra marzo ed ottobre del 1947, che ha portato a modifiche del testo dettate non dalla ragionevolezza ma dalla situazione di guerra fredda creatasi in quel periodo. Ad esempio nella prima stesura il senato era in parte eletto dai consigli regionali, poi subì parecchie modifiche fino alla situazione attuale consolidata nel ‘63, con una riforma costituzionale proposta dal governo ed approvata senza molto clamore.
In realtà la riforma di oggi non fa altro che riprendere aggiornandola la prima stesura dei padri costituenti, quando il clima politico era più costruttivo e libero.
Noldin (vicepresidente Comunità della Val di Non, PD): plaude alla organizzazione di questo tipo di incontri chiarificatori e riporta una preoccupazione che serpeggia tra la popolazione, che la riforma costituzionale diminuisca le tutele della nostra autonomia.
Ceccanti: La riforma non tocca le autonomie speciali, ma le rimanda ad una trattativa successiva, sulla base di principi, che l’articolo 116 comma 3 definisce molto più chiaramente di quanto succede ora. In buona sostanza le autonomie speciali vengono salvaguardate, con possibilità di ampliarle, sulla base della capacità di gestione delle autonomie stesse. Eventuali tentativi futuri di ridurre le autonomie speciali troverebbero sulla loro strada il nuovo senato, che è costituito dai rappresentanti delle regioni, che impedirebbero ovviamente questi tentativi.
Panizza (senatore della Valle di Non): La riforma costituzionale è frutto di un compromesso al ribasso rispetto ai propositi che lui stesso ed altri parlamentari si erano posti al momento della elezione e che tendevano ad una struttura regionalista dello stato. Questo è stato in gran parte causato dalla cattiva prova data dai governi di molte regioni d’Italia. Condivide nella sostanza tutte le cose dette da Ceccanti e ribadisce che la novità più importante è il superamento del bicameralismo perfetto, avendo sperimentato personalmente la dispersione di tempo e l’aumento dei costi che comporta il rimpallo tra le due camere dell’attività legislativa. Panizza afferma che molti sono contrari alla riforma perché temono addirittura una dittatura. E’ davvero singolare che dopo un’infinità di governi che cadono per i ricatti di pochi parlamentari, si abbia paura che chi vince abbia la maggioranza parlamentare per governare. Lamenta come il dibattito anche sui giornali prenda la strada dei cavilli, anziché concentrarsi su questi punti essenziali.
La salvaguardia della nostra autonomia speciale è stata oggetto di grande impegno da parte dei parlamentari locali ed oggettivamente si può dire che il risultato sia positivo: oltre a garantire lo status attuale si è riusciti a potenziarne le competenze e ad introdurre il principio dell’ intesa per le modifiche statutarie, nella speranza che arrivi presto alla revisione del nostro statuto di autonomia, che ci permetterà di consolidare i risultati ottenuti. Ha chiesto al governo un’espressione di fiducia nelle autonomie speciali che funzionano e la sua parte politica sosterrà quindi con convinzione il SI’, una volta ottenute queste garanzie, anche perché il NO creerebbe degli elementi di instabilità ed incertezza negativi e dannosi per tutto il paese.
Alla richiesta di chiarire cosa intenda per garanzie dal governo il Sen Panizza precisa che non si tratta né di una condizione né di un baratto né di un ricatto, anche perché sarebbe singolare che si schierasse per il no un parlamentare che ha approvato la riforma. Si tratta invece di chiarire politicamente le intenzioni del Governo riguardo alle autonomie speciali dopo il referendum, anche per fornire alla popolazione, bersagliata in questo momento da notizie spesso false, un’esplicita verifica alla fonte.
Forni (storico dell’agricoltura milanese novantenne): esprime stupore per il fatto che avendo la maggioranza della gente da sempre condiviso il giudizio del presidente Napolitano sui difetti nell’attuale costituzione, ora che siamo sulla strada di eliminarli non ci sia maggior consenso tra la popolazione. Ciò a suo avviso è dovuto ad una malattia della democrazia, che è la faziosità. I partiti politici non sono portatori di opinioni, ma fazioni e quando si è nella mentalità delle fazioni è chiaro che non si riesce mai a concludere in modo concreto. Occorrerebbe un vaccino contro questa gravissima malattia.
Conclude con un plauso ai senatori presenti che hanno votato per la propria “decadenza”, un atto coraggioso che va apprezzato.
Ceccanti: la faziosità non è un fenomeno nuovo e si sviluppa in particolare da parte delle forze politiche che lucrano sul malfunzionamento del sistema, come la lega nei primi tempi di Bossi e l’attuale movimento 5 stelle. Il caso del centrodestra è più complesso: all’inizio, tenendo fede all’impegno con Napolitano, era favorevole alle riforme, poichè però il percorso di queste è molto lungo, dopo alcuni anni ha avuto problemi di consenso, molto comprensibile per lo strabismo di essere contro il governo e sostenerne le riforme. Effettivamente la lunghezza del processo delle riforme aiuta la faziosità, come nel caso di parlamentari che hanno votato tre volte a favore delle riforme ed ora hanno dei dubbi se votare SI’ al referendum come cittadini. Uno sdoppiamento di personalità singolare.
Tonini (senatore trentino): ha detto molto bene il professor Forni, è la faziosità il problema di fondo, una delle malattie più gravi della democrazia, non solo della nostra. Il presidente Napolitano più volte si è trovato a fare i conti con questa malattia. Questa legislatura è partita con tre crisi che potevano portare al collasso. Una crisi politica, perché le elezioni avevano dato un responso che alla camera dava la maggioranza al centrosinistra, ma al senato no. Napolitano d’altro canto essendo a fine mandato non poteva far ripetere le elezioni sciogliendo le camere. Allora si dimise per permettere l’elezione di un nuovo Presidente che avesse pieni poteri di scioglimento delle camere. Ma anche questo non funzionò, perché i partiti non riuscirono ad eleggere un nuovo presidente. A questo punto 2/3 del parlamento (esclusi solo lega e M5S) vanno da Napolitano e lo pregano di accettare la candidatura ad un secondo mandato. Napolitano pur con tutte le riserve dovute alla sua tarda età, accetta a condizione che le forze politiche costituiscano un governo di larghe intese e che al primo punto del programma ci sia la riforma costituzionale che ci consenta di evitare il ripetersi di una situazione così paradossale. Tra PD, PDL e Montiani ci sarebbe stata la possibilità di far approvare la riforma anche senza il referendum, poiché avevano assieme i 2/3 dei componenti in entrambe le camere. Purtroppo i tempi per una riforma costituzionale sono lunghi, nel frattempo il governo Letta è andato in crisi a causa della decadenza di Berlusconi da senatore, poi c’è stato Renzi. Il quadro politico si è logorato, ma noi siamo rimasti fedeli agli accordi iniziali, sostanzialmente ai due punti fondamentali, lasciando fuori tutto quello che era controverso. La parte che riguarda i rapporti con le regioni non rientra ovviamente nel cuore della riforma, tanto è vero che in Germania viene modificata ad ogni piè sospinto con legge ordinaria,. Il cuore sta invece nel fatto che chiunque vinca non è costretto, per governare, a far accordi incestuosi con il Verdini di turno, solo la camera dà la fiducia al governo ed il senato fa un altro mestiere, anche questo importante, che è quello di coordinare il governo con le regioni. L’altro giorno Grillo ha detto che se vince fa il referendum sull’euro (ammesso che sia possibile per altri versi), ma cosa vuol dire vince? Prima devono vincere i SI’ al referendum, perché se no è molto improbabile che ottenga la maggioranza assoluta sia alla camera che al senato. Quindi in buona sostanza il quesito referendario è “volete voi che alla sera delle elezioni si conosca il vincitore?”. Poi ci sono altri mille dettagli, ma il nocciolo della questione è questo, ed è molto semplice.
Per quanto riguarda la nostra autonomia speciale, di cui siamo molto orgogliosi, questa è stata salvaguardata. Da notare che illustri costituzionalisti che fanno propaganda per il NO, uno di questi sarà stasera a Malè a discutere con Ceccanti e Borgonovo Re, tra le ragioni del NO indicano proprio la permanenza delle autonomie speciali.
Crediamo che questa salvaguardia dell’autonomia speciale sia interesse non solo nostro ma anche dell’Italia, e che le competenze che questa riforma toglie alle regioni, in gran parte a seguito di sentenze della corte costituzionale, nel caso del Trentino saranno oggetto di negoziato e siamo convinti che partiremo da posizioni di forza anche perché le competenze che il governo continua a trasferire alle Province di Trento e Bolzano sono competenze onerose che comportano dei risparmi per stato centrale, aumentando l’efficienza dei servizi, come nel recente trasferimento di competenze degli apparati amministrativi della giustizia. Quindi sono tranquillo: le autonomie speciali restano, nella zona grigia è aperto un negoziato e si potrà cambiare solo con l’intesa, sono convinto che porteremo a casa un risultato migliorativo della attuale situazione. Qualcuno avrebbe voluto il diritto di veto, ma questo è incompatibile con uno stato unitario, mentre abbiamo il diritto al negoziato, nel quale a mio avviso partiamo da posizioni di forza raggiunte ad oggi dall’ efficienza della nostra autonomia.
Potì ripropone la sua obiezione sull’impresentabilità degli alleati che hanno consentito la proposta di modifica costituzionale, Tonini ripropone il percorso della riforma, partita con ampia maggioranza e finita con una più striminzita e comprendente gli “impresentabili”, per motivi che nulla avevano a che fare con il contenuto della riforma medesima, per cui sarebbe stato da irresponsabili affossare una riforma di cui il paese ha estremo bisogno, proprio per non essere ancora costretti a fare accordi con persone che non ci piacciono. D’altro canto questo personaggio fa ancora parte del parlamento, a differenza di Berlusconi, perché la legge Severino si applica alla fine di tutti i gradi di giudizio. Da notare che con la vecchia costituzione (la più bella del mondo) questo signore non sarebbe neppure stato indagato. Detto questo non ci interessano le vicissitudini del centrodesfra, quello che ci interessa è che questa riforma abbia il consenso del popolo.
Borgonovo Re (consigliere provinciale PD): c’è un nodo importante in questa riforma, per la nostra comunità: i costituenti hanno pensato fin dall’inizio di riservare al popolo, al quale spetta la sovranità, il passaggio finale della riforma costituzionale. Questo compito impegna il cittadino a muoversi, impegnarsi, fare la fatica di rendersi conto dei quesiti su cui è chiamato a decidere. La serata di oggi mette a disposizione dei cittadini la possibilità di confrontarsi sui temi sui quali siamo chiamati a decidere. Indipendentemente dalle ragioni del SI’ o quelle del NO, è sbagliato che il dibattito prenda toni estremi, chi è per il SI dice che se vincono i NO sarà una tragedia, chi è per il NO dice che se vincono i SI’ sarà una dittatura, non può essere questo lo spirito con cui i cittadini affrontano questo passaggio. Lo spirito giusto è cogliere tutte le occasioni in cui è possibile approfondire questi temi, il testo della riforma ha una sua leggibilità, il sito della camera dei deputati mette a disposizione testi, commenti, sintesi in abbondanza. E poi c’è quell’elemento fiduciario, nelle persone che prendono posizione per il SI’ o per il NO, io evidentemente sono per il SI’ per le ragioni che sono state dette ed anche per molte altre che sono contenute in questo testo. La sfida di essere cittadini è difficile tanto quanto essere rappresentanti dei cittadini, a nessuno di noi è consentito di rivestire il nostro ruolo senza la fatica e l’impegno di dedicare un po’ del nostro tempo e della nostra intelligenza per capire quello che siamo chiamati a decidere.
La riunione si chiude qui, è durata un’ora e 35 minuti.
Reportage a cura di Ezio Trentini, moderatore dell’incontro
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