«Le Regioni peseranno, eccome, nel nuovo Senato. E la riforma costituzionale è migliorativa per la nostra autonomia». Michele Nicoletti, deputato del Pd, spiega le ragioni del sì.
A. Papayannidis, "Corriere del Trentino", 13 agosto 2016
L’ha stupita il fatto che il senatore Francesco Palermo, pur avendo votato a favore della riforma costituzionale, non dia per scontato di votare sì al referendum?
«In parte sì. Il potere di un senatore è enormemente maggiore di quello di un cittadino che vota al referendum: se uno ha riserve, penso che dovrebbe presentarle in parlamento. Mi auguro che il cittadino Palermo alla fine voti come il senatore».
Palermo ritiene che la parte migliore della riforma sia il fatto che il governo ricorrerà meno a strumenti impropri come questione di fiducia o decreti. Per lei qual è?
«Il superamento del bicameralismo paritario. È un motivo di instabilità con il corpo elettorale che si esprime dando origine a due maggioranze difformi nei due rami del parlamento. Considero comunque buona l’introduzione del procedimento a data certa, che è l’unico elemento di rafforzamento per il governo, compensato da un minore ricorso a questione di fiducia e decreti. Ci sono maggiori tutele per le opposizioni in Costituzione. Non è vero che la riforma dà al governo un potere spaventoso, come dice qualcuno».
Quanto conterà il Senato? Per Palermo peserà solo se la maggioranza sarà diversa da quella della Camera.
«Il ruolo del Senato cambierà, ma il Senato avrà un potere reale. Sulla Costituzione, sull’ordinamento della Repubblica, sui rapporti con le Regioni e gli enti locali, sulle leggi elettorali, il Senato avrà voce in capitolo come adesso. Sulle altre materie sarà una Camera di riflessione per migliorare le leggi e per svolgere una importantissima funzione di raccordo tra territori, Stato e livello europeo. I sostenitori del no non affrontano seriamente il problema del livello sovranazionale del potere».
Su molte materie, però, la Camera potrà ignorare ciò che dice il Senato.
«Nel Senato parleranno le Regioni e si potranno creare maggioranze trasversali agli schieramenti politici. Si creerà una dinamica totalmente nuova, per cui le Regioni potranno dettare linee a cui il governo potrebbe doversi adeguare. Se una volta il Senato non dovesse essere ascoltato, potrebbe iniziare ad avocare a sé ogni testo in votazione alla Camera e a esprimere pareri e proposte emendative. Politicamente, per il governo, non sarebbe facile far finta di niente. E lo stesso varrebbe anche per la maggioranza alla Camera. In Senato potrebbero sedere i governatori delle Regioni: le forze politiche alla Camera difficilmente potrebbero ignorarli».
Però la riforma restituisce allo Stato competenze concorrenti. Non è la fine del regionalismo?
«È vero che alcune competenze amministrative sono tornate allo Stato; va anche ricordato che il contenzioso Stato-Regioni su materie si risolveva quasi sempre a favore dello Stato. Io penso però che sul piano politico si potrà creare al Senato un luogo di dibattito e critica pubblica in cui le Regioni peseranno eccome, magari con alleanze tra le Regioni trasversali politicamente. Le regioni del Nord, quelle alpine, e così via».
In Trentino Alto Adige si evidenzia il fatto che il potere contrattuale dei senatori regionali sarà molto inferiore ad oggi. Come replica?
«Ciò oggi si verifica in presenza di maggioranze risicate, all’interno di una patologia del sistema, cioè la difformità delle maggioranze tra i due rami del parlamento. Il punto chiave è che serviranno alleanze. I senatori non dovranno come oggi limitarsi a vigilare sull’autonomia, ma farsi tessitori di alleanze con forze politiche nazionali e tra territori. Lo dico anche a quelli del Patt, non basterà stare solo a puntare i piedi».
Qual è il saldo per la nostra autonomia speciale?
«Il testo è migliorativo. L’intesa non c’era, con la riforma ci sarà. L’ultima bozza della commissione Bressa, con la previsione di un veto dei 3/5 del Consiglio regionale alle modifiche statuarie, è un’ulteriore rassicurazione. Stando ai testi, il patto Degasperi-Gruber è confermato, le autonomie speciali restano riconosciute, si rafforza la presenza in Senato (oggi 7 senatori regionali su 315, domani 4 su 100), e c’è l’intesa».
L’Italicum cambierà?
«Potrà cambiare, ma non per regredire a un sistema proporzionale. Si può discutere sulla modalità di attuazione: per esempio, sul premio di maggioranza da assegnare alla lista o alla coalizione. Ma dev’esserci una maggioranza disposta a sostenere le modifiche, il punto di equilibrio raggiun to era l’unico possibile quando ci siamo arrivati».