Un’export lasciato in mano a «un’elite imprenditoriale». Come rimediare? L’assessore provinciale allo Sviluppo economico Alessandro Olivi indica al Trentino la via dei «cluster», nella convinzione che l’unione faccia la forza. Ma avverte, l’amministrazione non può fare tutto: «Serve una collaborazione tra pubblico e privato». E, a due anni dalla liquidazione di Trentino Sprint, chiama in causa la Camera di commercio come luogo d’aggregazione.
M. Romagnoli, "Corriere del Trentino", 4 agosto 2016
Vicepresidente, in Trentino l’export è in mano al manifatturiero e al settore agricolo (Corriere del Trentino di ieri).
«Il problema del Trentino è il numero ridotto in termini complessivi di aziende strutturate per l’export. Quelle che lo sono, sono molto performanti. Sono le nostre eccellenze: l’agroalimentare, il vino, la meccanica di precisione. L’export è legato alle performance di una sorta di elite imprenditoriale che determina, a seconda del rendimento semestrale o annuale, il nostro grado di incisività all’estero. È un elemento di estrema qualità, ma anche di debolezza».
Quali le ragioni di ciò?
«Per anni c’è stata troppa dispersione dei prodotti, non si sono formate distrettualità produttive. Ora invece dobbiamo aiutare il sistema ad orientarsi verso filiere, che rappresentano il vero potenziale competitivo. Parlo dei settori dell’agroalimentare, della meccanica di precisione, della meccatronica, della carta. Dobbiamo ragionare in un’ottica di rete, fare uno sforzo comune per superare la stagione della frammentazione e della despecializzazione. La politica dell’amministrazione per la veicolazione dei fondi europei va in questo senso».
Cos’altro può fare la politica?
«È inutile pensare che la politica possa per legge forzare la crescita. Dobbiamo partire da un’idea: piccolo non significa non poter essere competitivi sul mercato estero, ma non poterci andare da soli. Bisogna trovare sul territorio delle alleanze, creare cluster territoriali. Qui si inserisce lo spazio della politica che può aiutare le piccole e medie imprese a conoscere assieme il mercato internazionale. Le piccole e medie imprese vanno sostenute con politiche di formazione del capitale umano, cultura d’impresa. Sono certo che abbiano i prodotti che permettano una crescita in Europa e in Oriente. Solo devono arrivarci in rete. Il tema riguarda pure le associazioni di categoria, non solo la politica».
Quale il ruolo di Trentino Sviluppo?
«Trentino Sviluppo ha ricevuto dalla giunta il compito di compiere un censimento delle imprese che hanno degli spazi competitivi. Bisogna far conoscere il Trentino anche per la qualità dei processi produttivi, la salubrità dell’ambiente in cui avvengono. In ciò Trentino Sviluppo deve fare di più e cercare di valorizzare i nostri migliori talenti. Uno dei problemi, poi, è chi fa che cosa. Serve un unico centro di costruzione delle competenze».
Quale?
«Ci abbiamo provato con Trentino Sviluppo, ma non è attrezzata a gestire questo passaggio. Alle categorie dico: “Cerchiamo di capire dove è il luogo di cooperazione tra pubblico e privato”. Il pubblico fa i servizi: non si può chiedere alla Provincia di fare l’export che è business, è l’ultimo miglio che spetta agli imprenditori. Una volta per tutte bisogna definire un luogo. Trentino Sviluppo non basta, non possiamo dire di avere affrontato il tema dell’export semplicemente con la costituzione di una sezione dedicata. Le politiche pubbliche possono lavorare sul profilo qualitativo: sulla formazione, sulla costruzione di modelli organizzativi».
E il business, dunque?
«È una funzione che compete al mondo delle categorie che oggi si trova rappresentato nella Camera di commercio. Credo che gli imprenditori debbano fare qualche proposta nuova. È poi possibile valorizzare coloro che fanno già bene export per farne dei formatori per chi vi si approccia. Ma per ciò serve un luogo. E la solidarietà tra le imprese: la concorrenza non è più interna».
La Provincia contribuirà anche economicamente?
«Se si definisce un ruolo ben determinato del pubblico si può pensare a uno sforzo pure maggiore. Non ha senso però buttare via risorse se non c’è una struttura definita, né spendere in viaggi e rappresentanza, ma per creare una cultura sul territorio».