Di fronte all’approvazione in extremis dei criteri di programmazione urbanistica del settore commerciale da parte del Comune di Trento, Alessandro Olivi si divide tra soddisfazione e considerazioni politiche. L’atto del Consiglio non completa il processo di attuazione della legge, che prevede infatti una delibera della giunta provinciale rispetto alle superfici superiori ai 10.000 metri quadrati.
A. Rossi Tonon, "Corriere del Trentino", 1 agosto 2016
Il modello di sviluppo su cui punta il vicepresidente della Provincia non è quello dei grandi centri commerciali, ma l’alternativa prevede un impegno da parte dei piccoli e medi commercianti, ai quali Olivi rivolge un appello: «Puntate sulla qualità».
Come valuta l’approvazione in zona Cesarini del piano commerciale da parte del Consiglio comunale del capoluogo?
«Ho seguito il dibattito con il dovuto rispetto dell’autonomia del Consiglio comunale, ma ora che si è concluso mi sento di fare alcune considerazioni. Credo che la discussione si sia concentrata un po’ troppo sulle procedure, le formule e i rapporti all’interno della maggioranza e con la minoranza, e poco sull’idea di futuro del commercio in città. Il Consiglio comunale è sacro, ma credo si sia persa un’occasione per discutere dell’idea che si ha della città, visto che l’anno scorso siamo stati i primi in Italia a proporre un modello in cui la pianificazione commerciale nasceva dallo studio del territorio».
È soddisfatto dell’esito?
«Molto, perché rappresenta il tassello mancante verso il passo successivo. Ora tocca alla giunta provinciale approvare il piano ma, avendo seguito dal punto di vista tecnico lo sviluppo dello stesso con proficua collaborazione tra gli uffici, credo faremo in fretta. Ritengo che il Trentino esca dal processo con una piattaforma molto innovativa, sviluppata da Comuni e Comunità seguendo l’analisi dei fabbisogni, i tempi delle città, le sue infrastrutture e le capacità di ospitare visitatori».
Qual è il prossimo passo a cui fa riferimento?
«La delibera della giunta provinciale in cui esprimiamo l’intenzione di destinare, in accordo con il Comune o la Comunità interessata, eventuali insediamenti per superfici superiori ai 10.000 metri quadrati».
E qual è la sua posizione?
«La legge nasce secondo una filosofia precisa che ha rotto la tendenza di una logica meramente espansiva delle superfici e non della qualità. Per cui la logica è quella di non aprire a grandi concentrazioni commerciali, e per la valutazione del sistema complessivo risultante dai singoli piani ci avvarremo ancora del contributo del Politecnico di Torino».
Ci sono comunque grandi gruppi interessati a insediarsi sul territorio provinciale?
«I grandi gruppi ci sono e premono, perché il Trentino è un territorio appetibile. Però non vengono dal sottoscritto, preferendo cercasi i terreni ed entrare in contatto con i proprietari. Io non sono loro nemico, ma credo che il Trentino debba scegliere un modello, senza dire di “no” a priori. Quello verso il quale abbiamo cercato di andare è quello del commercio a rete, dei distretti, dei centri storici che si rivalutano. Ma serve chi lo metta in atto, per questo rivolgo un appello alle piccole e medie imprese affinché compiano uno sforzo per qualificarsi».
È anche questo un riferimento all’occasione persa?
«Sì. Abbiamo cercato di semplificare e liberalizzare l’attività nei centri storici, dove non servono pianificazioni, a patto di rispettare i Piani regolatori generali. Qui si innesta il tema dello sviluppo di nuovi format come l’espansione delle grandi città mitteleuropee con i loro kaufhaus, per i quali so che a Trento qualcosa si sta muovendo».