Ha perso importanza stabilire se di vero golpe si è trattato o se abbiamo assistito ad una astuta messa in scena, i cui scopi verranno forse svelati dalla storia. Ha perso importanza definire, seppur in ritardo di qualche giorno ormai, con chi schierarsi: con il governo che difende la sua legittima esistenza o con i presunti golpisti che tale legittimità volevano mettere violentemente in discussione.
Donata Borgonovo Re, "Trentino", 22 luglio 2016
No, non ha più importanza: le foto di quei corpi denudati, ammassati, rimpiccioliti di fronte all'oscena crudeltà del potere ci tolgono ogni dubbio.
Chi oggi sta conducendo la Turchia in questa drammatica svolta della sua storia non è un capo di governo nell'esercizio legittimo delle sue funzioni, ma un despota cui le regole (anche faticose) della democrazia risultano incomprensibili e inaccettabili. Non si spiegherebbe altrimenti questa drammatica 'sospensione' dello stato di diritto che consente di schiacciare gli oppositori (come ben sanno giornalisti, docenti universitari, attivisti politici che negli ultimi anni hanno subito arresti, interrogatori, espulsioni dai luoghi di lavoro, violenza fisica), di umiliare e terrorizzare i sospettati, arrestati in massa, di travolgere ogni barriera posta a tutela della autonomia dei poteri (penso all'arresto di magistrati, al licenziamento massiccio di dipendenti pubblici e di funzionari locali).
Assistiamo ad un vero attentato alla democrazia che ci angoscia sia per la tragedia dei destini individuali delle migliaia di persone travolte dalla violenza del potere, sia per il futuro dell'intera società turca, oggi presentata come stretta attorno al suo "condottiero' (così lo definiva un giornalista nel suo reportage da Istanbul) nel chiedere il ripristino della pena di morte e il pugno di ferro contro gli oppositori, chiunque essi siano e ovunque siano nascosti...
E sullo sfondo, tragedia nella tragedia, resta il silenzio sul destino del popolo curdo, oggetto da mesi di una massiccia aggressione da parte delle forze armate turche (golpiste o fedeli?) che, con la scusa di bombardare le postazioni (vere? presunte?) dell'ISIS, hanno allargato inopinatamente il loro campo d'azione e, nel silenzio assordante dell'Europa, hanno devastato città e villaggi, hanno ferito, ucciso, messo in fuga la popolazione civile. La situazione è dunque drammatica.
E l'Europa ha l'assoluto dovere di intervenire, non solo per ribadire che senza un chiaro rispetto delle regole democratiche (tra le quali il giusto processo costituisce un baluardo in difesa della persona di fronte ai possibili eccessi del potere statuale) è impossibile entrare nella comunità dei popoli europei, ma soprattutto per monitorare quanto sta accadendo, per proteggere i diritti umani dei cittadini turchi attraverso gli strumenti della pressione economica e politica, per mantenere aperti spazi di confronto e di discussione con il governo turco allo scopo di consolidare una cultura della democrazia che si presenti vantaggiosa per il futuro dei cittadini e che consenta semmai, attraverso l'ordinario strumento elettorale, di individuare una classe politica più adeguata e aperta al futuro.
Ora però siamo davanti a quei corpi nudi, privati volutamente della loro dignità e dunque della loro umanità, in modo da sottrarli alla nostra attenzione e alla nostra solidarietà. Quelle foto, insostenibili allo sguardo, devono invece impedirci di tacere: la storia ci ha mostrato molte volte quelle stesse immagini, e ogni volta il male ha raggiunto dimensioni inaudite.
Il silenzio è stato un complice perfetto.