Il Referendum e l’Amarcord dei sentimenti

Tra i numerosi e diversi sentimenti che il dibattito attorno alla Riforma Costituzionale sta suscitando, mi pare che in questi ultimi giorni si stia manifestando con sempre maggiore frequenza quello della nostalgia.
Elisa Filippi, 15 luglio 2016

 

Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad un dibattito televisivo che vedeva tra gli ospiti un vivace Cirino Pomicino a sostegno del no alla riforma. Al di là delle legittime posizioni, ciò che più mi ha colpita è stata la seguente affermazione dell’ex ministro: “i governi li scelgono i parlamenti, non gli elettori”. Formalmente corretta perchè gli elettori non eleggono direttamente il presidente del consiglio e la compagine governativa, ma nella sostanza il ragionamento di Pomicino rivendicava l’idea che la formazione dell’esecutivo e soprattutto l’individuazione del Presidente del Consiglio dovesse essere affidata alla costituzione di coalizioni da ricercare in Parlamento, ovvero affidate ai Partiti stessi rappresentati in esso tramite il voto degli elettori. Una sorta di tuffo nel passato direttamente alla “Repubblica dei Partiti”.

Un’indicazione che appare ancora più curiosa, se pensiamo al grado di fiducia che godono i Partiti oggi. Se nel Paese e con ancora maggiore evidenza anche in Trentino, si sono diffuse numerose liste civiche e amministrazioni guidate da sindaci “civici”, non è forse anche per una certa debolezza e incapacità attribuita ai Partiti stessi?

Un altro elemento nostalgico, e molto di moda in questi caldi giorni romani, è quello relativo alla necessità di ricercare una coalizione ampia, sempre più ampia, che faccia della concertazione interna costante il proprio metodo. Viene da se, che secondo diversi sostenitori di questo approccio, proprio per queste ragioni semplificare il processo legislativo non appare prioritario, anzi. Più i tempi sono lunghi, più è possibile mediare, emendare e ponderare un provvedimento tra un passaggio da una Camera all’altra.

L’idea di fondo è che posto che nessun soggetto politico oggi ha la certezza di vincere, la cosa migliore, per prudenza, è evitare che qualcuno possa davvero governare. Molto meglio prevedere meccanismi elettorali che costringano a (grandi) coalizioni, e una volta fatto il governo, porre l’esecutivo nelle condizioni di dover costantemente concertare dovendo trovare la fiducia sia di una camera che dell’altra su medesimi provvedimenti.

A me pare evidente, che su questo referendum si confrontino sostanzialamente sistemi diversi di intendere la politica. Legittimi, ma diversi. Uno l’abbiamo già sperimentato. Si chiama ritorno alla Prima Repubblica, che molto ha fatto di buono per salvaguardare il nostro Paese in momenti difficili, nello scenario internazionale della Guerra Fredda, quando PCI e DC avevano rapporti tesi e appartenevano a due sfere del mondo diverso, ma che tuttavia ha rivelato la propria inefficacia nel governo del Paese degli ultimi 20 anni. Pensiamo alla spesa pubblica, aumentata vertiginosamente mentre allo stesso tempo aumentavano le diseguglianza sociale ed il debito pubblico.

L’altro, quello proposto dalla riforma, è quello che rende veramente contendibile la guida del governo e propone un sistema istituzionale più efficiente nel semplificare il processo legislativo con una sola camera che voti la fiducia al governo e l’altra, composta da consiglieri regionali e Sindaci che concorre alla formazione di leggi rispetto a un preciso elenco di tipologie di leggi, essenzialmente quelle che riguardano le regole del gioco.

Pur comprendendo i legittimi punti di vista, sono dell’idea che mentre la mediazione in politica è un valore, il compromesso costante è una malattia che rischia di portare al logoramento.

Oggi l’Italia ha bisogno di un coraggioso percorso riformista, e solo un governo che goda di una chiara legittimazione popolare (rappresentata dalla maggioranza degli elettori), e che sia nelle condizioni di compiere scelte altrettanto chiare, può essere in grado di promuoverlo.

Non basterà la sola modifica del sistema istituzionale a costruire una classe politica all’altezza della sfida, ma certamente toglierà gli alibi che ne hanno ingessato l’azione.