Alessandro Olivi non è convinto del fatto che il futuro dell’autonomia «possa poggiare su una logica negoziale di scambio». Fatto salvo che avere sei mesi fa una norma costituzionale che disciplinasse l’intesa «sarebbe stato l’optimum», oggi l’unica carta che il Trentino Alto Adige si può giocare con lo Stato è «un accordo alto su cosa sarà l’autonomia dei prossimi trent’anni per noi e per il Paese».
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 4 luglio 2016
«Una proposta che non può essere il prodotto di un confronto autoreferenziale tra pochi addetti ai lavori», ma «un patto condiviso dall’intera coalizione regionale in quanto rappresentante della propria comunità».
Vicepresidente, la commissione Bressa è stata congelata. Si andrà al referendum senza sapere come sarà declinato il principio dell’intesa, ossia chi tra Stato e Regione autonoma avrà l’ultima parola nella modifica dello Statuto. Rossi propone un patto politico con il governo prima del voto su un’autonomia espansiva. Condivide?
«L’obiettivo indicato dal presidente di un’autonomia espansiva è sicuramente condivisibile. Credo, però, che il modo di raggiungerlo vada pensato con attenzione e nella maniera più condivisa possibile».
Partiamo dalla commissione Bressa. Giusto congelarla?
«Arrivati a questo punto, direi proprio di sì. Avrebbe dovuto indicare una clausola di chiusura valida per tutte le autonomie, ma le Speciali non sono tutte uguali e le difficoltà hanno prevalso. Non mi pare realistico immaginare che quella norma, di rango costituzionale e valida per tutti, possa essere definita ora a tre mesi dal voto».
In alternativa, Rossi propone un patto politico con il governo. Ottenutolo, si potrà sostenere senza riserve il referendum.
«Francamente mi pare surreale poter ottenere oggi garanzie di tipo contrattuale su quale sarà la revisione dello Statuto dopo il sì al referendum».
Si riferisce al fatto che, con ogni probabilità, sarà il prossimo Parlamento, in cui Trento e Bolzano conteranno ben poco, ad approvare la revisione?
«A questo e non solo. È evidente che un impegno di tipo politico potrebbe non essere esigibile a condizioni mutate. Sarebbe strano che in un mondo che un giorno vede la Gran Bretagna uscire dalla Ue e quello dopo le elezioni in Austria da rifare, l’unica invariante sia rappresentata da un accordo a due. Ma il vero problema è in che termini noi vogliamo rapportarci al nostro interno e verso l’esterno. Se questo referendum, come spero, passerà, la novità più importante per il paese sarà che finirà questa democrazia bizantina dell’ultimo miglio per cui quattro senatori al momento giusto possono trattare con il governo emendamenti, proroghe, aggiustamenti, favori. Una certa logica mercantile finirà e noi non possiamo affidarci a quella logica. Dobbiamo capirlo oggi, o rischiamo grosse delusioni in futuro».
Lei cosa propone? A cosa si può affidare il futuro dell’autonomia se la commissione Bressa è congelata e un patto politico pre-referendum le pare uno strumento troppo debole?
«Con il nuovo assetto istituzionale e parlamentare, la nostra forza non sarà più quella del do ut des , una logica che in passato può aver dato dei risultati parziali. La nostra forza starà nella proposta che riusciremo a fare per il futuro dell’autonomia. Abbiamo ottenuto la clausola di salvaguardia (intesa, ndr) e non è poco: significa che la riforma costituzionale, che altrove toglie unilateralmente competenze, da noi non si applicherà e che la revisione del nostro Statuto andrà fatta d’intesa. La mia proposta è: chiediamo allo Stato di declinare l’intesa come salvaguardia dell’attuale livello di autonomia e come possibilità di ampliare questa autonomia in ogni caso in cui non leda interessi dello Stato, partendo ovviamente da ulteriori oneri economici. Ottenuto questo, sarà la qualità della nostra proposta a fare la differenza. Parliamoci chiaro, a Roma come nelle altre Regioni, non sono ostili al fatto che noi si abbia più competenze, sono ostili al fatto che noi si abbia più soldi. Questa sarà la nostra forza: dimostrare che possiamo autogovernarci senza far spendere di più allo Stato. Un patto quindi serve, ma di coalizione».
Per farlo, serve non solo amministrare l’autonomia, ma pensarla, ripensarla. L’idea del centro studi che sta portando avanti Rossi può essere utile. Dorigatti, lo scorso luglio, aveva proposto qualcosa di simile.
«Giustissima l’idea di riflettere sulla nostra autonomia, ma quella di Dorigatti non era un’infrastruttura e non aveva un costo. Non credo ci sia bisogno né di nuove infrastrutture, né di soldi per riflettere sul futuro dell’autonomia. Cercherei inoltre di uscire da una certa autoreferenzialità. Abbiamo bisogno di p ensare il futuro».