Nella storia dell'Italia unita - con l'eccezione della parentesi, tra luci e ombre, dal 1996 al 2012 - il sistema politico istituzionale del Paese non è mai stato caratterizzato da una vera democrazia dell'alternanza. Ossia un sistema in cui due grandi forze concorrono alla guida del Governo nazionale con programmi differenti, ma con valori di fondo comuni tali da legittimarsi reciprocamente e da riconoscersi nel medesimo assetto istituzionale.
Lorenzo Passerini, "Trentino", 29 giugno 2016
Le forze d’opposizione sono sempre state infatti “antisistema”: si pensi a cattolici e socialisti nell’Italia liberale, al fronte “antifascista” durante il fascismo, a comunisti e post fascisti nella cosiddetta Prima Repubblica. Ma si pensi anche, seppur con le dovute differenze, a M5S/Grillo e a Lega/Lista Salvini oggi. Queste forze si possono infatti definire "alternative di governo"? La “polarizzazione ideologica” negli altri paesi, in particolare quelli anglosassoni, è infatti molto diversa da quella che ha caratterizzato la storia d’Italia. Negli Stati Uniti vige da secoli un panorama politico che si può definire a buona ragione bipolare, per storia, consuetudini, cultura politica diffusa.
Primarie, bipartitismo, cultura maggioritaria sono elementi strettamente connessi. Ha poco senso un elemento senza gli altri. Giuliano Amato, a tal proposito, al Festival dell’economia del 2013 fece una metafora efficace: “se si inserisce un ingranaggio di un Rolex su uno Swatch, lo Swatch poi non funziona meglio!”. Quelli politico-sociali sono infatti sistemi complessi e come tali ogni modulo/ingranaggio dev’essere compatibile con gli altri. Come ha indicato Enrico Letta durante la presentazione sabato a Trento della pubblicazione “Andreatta Politico” il modello del “chi vince piglia tutto” non è in grado di rispondere alla crisi sociale ed economica nemmeno in quei paesi, come ad esempio Francia e Regno Unito, in cui tradizionalmente il sistema è sempre stato semi presidenziale / maggioritario. La crisi ha bisogno di istituzioni “accoglienti” capaci di garantire ampia rappresentativa politico – sociale, di rendere corresponsabili molti settori che compongono le nostre comunità.
In una fase di graduale dissipamento delle esperienze comunitarie e di progressivo distacco tra cittadini-Istituzioni la politica deve farsi carico di includere, non di semplificare brutalmente le diverse sensibilità presenti nella società. Gli esclusi sono troppi e si possono ripresentare in forme sempre più pericolose. Se il modello bipartitico non ha radici nella storia e nella cultura del nostro Paese, risulta oggi sempre meno capace di dialogare e costruire consenso diffuso anche nei Paesi in cui tale modello, nella storia, è risultato maggiormente in grado di interpretare il contesto politico-sociale. Pertanto pare piuttosto miope voler oggi, a tutti costi, introdurre in modo così forte un simile schema in un contesto che risulta addirittura riduttivo definire tripolare (figurarsi bipolare!).
Quali sarebbero oggi i tre poli? Il centrosinistra esaurisce la sua capacità di elaborazione politica con l’attività del Governo, per quanto riguarda il centrodestra non esiste un’area politica omogenea che possa essere definita tale (come possono stare insieme infatti la Lega di Salvini che definisce l’Europa una “gabbia di matti” e i moderati con Berlusconi che commentando, l’esito referendario britannico, lo considera “la fine del sogno di una generazione?”). Poi ci sono i 5 Stelle. Va pure considerato che non esiste sistema al mondo che elegge interamente un Parlamento con il doppio turno, come si vorrebbe fare in Italia. Il rischio è quello di avere Roma come modello nazionale (con la candidata del M5S con una maggioranza schiacciante al ballottaggio) e Milano invece come felice anomalia (con un positivo confronto tra due poli “tradizionali”). Sarebbe forse meglio fermarsi e pensare prima di far schiantare il Paese contro muro. Dare poi la colpa al muro sarebbe troppo tardi, per tutti.