LETTA: «L’Italia ora rischia la stabilità dei propri conti pubblici. Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea una nuova crisi dello spread è più che possibile. Per questo, il nostro Paese nell’immediato farebbe bene a contenere la spesa, non è certo il momento per spendere in modo consistente e ingiustificato. Il temporale è vicino».
M. Ciangherotti, "Corriere del Trentino", 27 giugno 2016
L’uragano Brexit si è abbattuto da poche ore sull’Europa e sulla stabilità dei mercati finanziari. Bisogna parare il colpo, avanzare nel più breve tempo possibile verso la procedura di uscita del Regno Unito dall’Unione, imparare dai propri errori e interrompere lo stato di incertezza fin da subito. L’incertezza, si sa, non piace ai mercati e la legge del mercato governa i conti pubblici degli Stati sovrani. L’Italia, insieme alla Spagna, è il Paese europeo con il debito pubblico maggiore. Il mirino della speculazione dei mercati è puntato. Obiettivo: farsi il meno male possibile.
Il pensiero dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta - intercettato a margine del convegno sulla figura di Beniamino Andreatta che si è svolto ieri nella Sala della Cooperazione, moderato dal nostro direttore Alberto Faustini - è chiaro. Limitare i danni, contenere la spesa pubblica e fare in fretta per dimostrare alla Gran Bretagna che l’Europa può e deve continuare a camminare unita, occupandosi con meno freddezza dei problemi dei suoi concittadini.
Professor Letta, personalmente si è subito speso per sottolineare l’esigenza di reagire subito e in fretta, ma la Gran Bretagna ora nella sua trattativa di uscita dall’Unione sicuramente chiederà il mantenimento di un’area di libero scambio. Cosa succederà? «La Gran Bretagna ora vuole cercare di minimizzare i danni, e certo chiederà il mantenimento di un’area di libero scambio per conservare i benefici del mercato interno. Ma non si può avere tutto. L’unico Paese, in Europa, a trovarsi in una situazione simile è la Norvegia, ma mantenere un’area di libero scambio essendo fuori dall’Europa significa comunque sottostare a decisioni prese da altri e ritengo che questa situazione, rispetto alla Norvegia, per la Gran Bretgna sia improbabile, quantomeno molto complicata. È una contraddizione profonda con la quale ora la Gran Bretagna dovrà fare i conti».
La reazione a caldo dell’Unione europea è stata molto dura. Il presidente Juncker ha dichiarato: “Quello tra l'Ue e il Regno Unito non sarà un divorzio consensuale, ma non è stata neppure una grande storia d'amore”. Come giudica questi toni? «Ritengo doverosa e giusta una reazione di questo tipo. Intanto per evitare e non rischiare un effetto domino immediato di altri Stati europei che si volessero lanciare nella sfida all’Unione. E poi è un modo per spiegare a tutti che uscire dall’Europa non è affatto un gioco politico, facile e semplice come si vorrebbe far credere. Non è una decisione senza conseguenze e anche per questo è una vicenda da regolare subito, in fretta».
Ora cosa rischiano gli Stati europei e in particolare l’Italia? Una parte importante della nostra economia è basata sull’export e Londra, in questo senso, era una piazza importante... «Non mi preoccupa, almeno nell’immediato, l’effetto economico negativo sull’export. L’Italia, ora, più di ogni altra cosa, rischia la propria stabilità. L’Italia e la Spagna sono i paesi europei maggiormente nel mirino della speculazione finanziaria. L’Italia, poi, ha un grande debito pubblico. Perciò, nel breve periodo, starei molto attento a contenere la spesa. Non è certo il periodo ottimale per certe spese elettoralistiche».
Dunque aver chiesto più flessibilità all’Europa non ci può aiutare? «La flessibilità non è una grande vittoria. In questa situazione si tratta solo di produrre altro debito che fa aumentare il deficit».
Certo che, però, l’Europa ha le proprie responsabilità nell’aver accentuato questo dilagante sentimento antieuropeista. I cittadini europei si sentono abbandonati. La vittoria del Leave in Gran Bretagna è nata sotto la spinta delle campagne. Territori spesso poveri e lontani dal “benessere” della City. «Purtroppo è così. Manca un senso di protezione. I cittadini europei non avvertono il calore sufficiente delle istituzioni che li rappresentano. La reazione fredda dell’Europa sulle problematiche più evidenti della popolazione non ha aiutato. Serve una svolta, ora più che mai. Bisogna che l’Europa dia risposte certe e univoche alla disoccupazione e al fenomeno migratorio».
In che modo? «Per esempio con misure che aiutino i disoccupati come un’assicurazione europea sulla disoccupazione; uno strumento europeo che introduca un meccanismo di sussidiarietà e di formazione al lavoro».