Il gruppo consiliare provinciale del PD ha approvato le mozioni sull’introduzione delle divise e la possibilità dei genitori di decidere se far partecipare o meno figli e figlie alle attività di educazione all’affettività, alle emozioni, al rispetto delle diversità. Trovo le proposte decisamente regressive.R. Lorandi, "Trentino", 16 giugno 2016
I miei compagni di partito giustificano quanto accaduto dicendo che non sono imposizioni e che, dal punto di vista organizzativo, le difficoltà per l’applicazione di questi provvedimenti ne impediranno l’attuazione. L’approvazione della legge sulla Buona scuola, secondo loro, meritava cedere e mediare. Non vorrei che fosse il sintomo di un pragmatismo postvaloriale. Le parole dette e scritte, soprattutto in contesti pubblici e politici, agiscono. E come ogni altro gesto e azione hanno delle conseguenze. Michela Marzano, la filosofa che pone molta attenzione al tema del rispetto delle diversità, anche nell’incontro di quest’inverno a Trento ha ricordato che «nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo»
Ebbene cosa c’è di più disordinato del proporre la divisione tra le ragazze i ragazzi che vanno a scuola attraverso la divisa o nel fare o non far partecipare i ragazzi e le ragazze ad attività educative e formative? La divisa non crea identità e nemmeno senso di appartenenza. Studiare e apprendere insieme, giocare e divertirsi, pulire lo stesso quartiere, fare sport e tifare per la stessa squadra, aiutarsi nei compiti, preparare la merenda o un’esposizione, vincere le olimpiadi della danza … questo crea senso di appartenenza e legame e chiunque lavori con i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze fuori e dentro la scuola lo sa perché lo vive ogni giorno. La divisa, come dice la parola stessa non unisce ma separa, non insegna a rispettare le diversità, perchè si corre il rischio che vengano applicati stereotipi sessisti: i maschi con i grembiuli blu e le femmine con quelli rosa, o le gonne e i pantaloni! Se non ci accorgiamo della meraviglia della complessità, alimentiamo pregiudizi, alimentiamo la distanza e ci allontaniamo dall’idea che nella diversità formiamo legami e costruiamo la nostra identità; a partire da noi stessi, da quando ci riconosciamo altro e diverso dai nostri genitori.
Ad ogni femminicidio (delitto purtroppo quasi giornaliero) tutti dichiarano la necessità che la scuola intervenga per educare i maschi al rispetto delle femmine e di sé stessi. Giustamente, peraltro, perché l’istruzione e la crescita culturale ed etica non sono solo un diritto ma un dovere, un obbligo. E poi? Poi sottovalutiamo la responsabilità che la scuola pubblica ha di educare i giovani e le giovani e ci appelliamo alla scelta dei singoli genitori? Oggi le aule e gli spazi delle scuole, le strade delle città sono multicolori ed è questo il bello delle nostra comunità che dà senso e valore al divenire adulti nel rispetto delle uguaglianze e delle diversità di tutti e di ciascuno. La coesione sociale nelle aule scolastiche nasce dall’impegno dei tanti insegnanti, che già lo fanno, di educare le ragazze e i ragazzi alle relazioni tra loro e con il sapere, attribuendo significati positivi alle differenze di genere, di provenienza culturale e religiosa, di pensieri e di idee, aiutandoli a diventare, come dice la Costituzione italiana, donne e uomini liberi, responsabili e solidali. Ciò accade se si apprende la matematica e la fisica, le lingue, la storia e la filosofia. Ma non solo, è necessaria la capacità di nominare le emozioni e i sentimenti, riconoscendo valore ai propri e a quelli delle altre compagne e degli altri compagni uguali e diverse/diversi da loro.
Quello che ho sempre trovato meraviglioso nella scuola pubblica è proprio questo, qualunque sia il tuo accento, qualunque sia il tuo stile, la tua famiglia, il tuo credo religioso, l’orientamento politico dei tuoi genitori e il tuo, lì c’è un posto dove poter essere diversi insieme e nella diversità crescere Già di per sé questo crea appartenenza alla comunità in cui vivi.
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