Raccolgo, in questo mio contributo, gli spunti contenuti nella riflessione critica di Roberto Coletti dei giorni scorsi. Li raccolgo per provare a far comprendere come le politiche a sostegno dello sviluppo industriale siano da tempo ispirate a nuovi obiettivi.
Alessandro Olivi, "Trentino", 12 giugno 2016
Anzitutto vorrei osservare come non è utile elaborare un giudizio sulle politiche pubbliche in un settore così vasto, diversificato e complesso, focalizzandosi solo su alcuni casi singoli, dimenticando poi i molti segnali che ci pervengono da un Trentino produttivo che sta dimostrando di sapersi rigenerare e imboccare strade nuove. Non c’è dubbio, a un certo punto dinanzi a una crisi senza precedenti abbiamo deciso in modo cosciente, rapido e responsabile di mettere in campo una manovra anticongiunturale straordinaria, nel tentativo di contrastare la crisi finanziaria e del credito intervenendo su alcune importanti aziende manifatturiere per salvaguardarne il patrimonio economico e sociale, diretto e indotto.
Senza tali operazioni l’emorragia occupazionale sarebbe stata ben più consistente. Questa fase però riguarda prevalentemente il passato. Oggi stiamo facendo altro. La politica industriale della Provincia è cambiata negli obiettivi, negli strumenti e anche nei destinatari degli interventi. Stiamo ancora affrontando e gestendo alcune situazioni di crisi ma al tempo stesso abbiamo messo in atto un cambio di paradigma che è dimostrato dai risultati concreti. I segni di questa innovazione sono plurimi: la focalizzazione degli aiuti su alcuni settori strategici per lo sviluppo dell’economia; il sostegno ad aziende e filiere aventi un elevato potenziale di crescita; investimenti strutturali in piattaforme produttive e tecnologiche quali Progetto Manifattura e Polo Meccatronica, dove far incontrare imprese, ricerca e formazione; impiego di risorse pubbliche a fronte di un adeguato apporto di mezzi propri.
Quando si affronta il tema delle politiche industriali, perché dunque non parlare dei trenta ragazzi under 25 assunti pochi giorni fa da un’azienda che ha scelto Rovereto per creare una nuova unità di business a servizio dell’intero gruppo mondiale? Perché non fare accenno al fatto che un importante gruppo internazionale dell’automotive, dato in partenza, rimarrà invece sul territorio investendo milioni di euro in nuovi impianti e potenziando l’organico con 50 nuove assunzioni trovando ospitalità in un immobile di Trentino Sviluppo? Perché dimenticare che in tempi record, a Trento Nord, un’attività industriale sostitutiva ricercata con caparbietà e strumenti innovativi sta realizzando investimenti per circa 40 milioni senza alcun aiuto pubblico e ha in programma 250 assunzioni attingendo tra gli ex dipendenti Whirlpool? Perché non fare ricordare che in Valsugana, tra Levico e Grigno, dove tutti parlavano di desertificazione industriale, in meno di un anno si è via via ricostruita una solida dorsale manifatturiera di meccanica avanzata, agroalimentare e aereospaziale, con forte incremento di forza lavoro?
Perché non dirci che i BIC di Trentino Sviluppo sono ormai saturi e le aziende fanno la fila per poter entrare negli incubatori dando vita a filiere tra piccole e medie imprese che fanno ricerca e assumono? Perché non sottolineare che il Trentino risulta la provincia con la maggior densità di startup innovative, che offrono una prospettiva occupazionale a quasi 400 persone? Perché soprattutto non fare un vero e proprio bilancio economico e sociale sull’effetto leva generato dalle operazioni concluse nell’ultimo anno da Trentino Sviluppo, che a fronte di una spesa di 23 milioni di euro ha generato investimenti privati per quasi 130 milioni? Dunque meno incentivi tradizionali e più politiche di contesto, una pubblica amministrazione rigorosa ma più attenta ai bisogni di chi investe, uno sforzo senza precedenti per attrarre investimenti, un pacchetto fiscale che valorizza le nuove iniziative, una serie di sostegni mirati alla nuova imprenditorialità con attenzione a giovani e donne. Sono questi i capisaldi del nuovo corso.
Detto ciò è chiaro che non esiste una netta linea di demarcazione tra prima e dopo, ed è doveroso lavorare con impegno per far sì che si possa preservare alla comunità economica anche quella parte di tessuto produttivo più radicato alla tradizione o in transizione verso forme nuove di sviluppo. Gli spunti critici servono forse anche a dirci che in questa delicata fase di passaggio ciascuno deve fare la sua parte. Come Provincia ci siamo chiesti cosa è opportuno cambiare, dove possiamo fare di più e meglio. Ma come noi ci siamo posti delle domande credo vada aperto un ragionamento, e sono sicuro che Coletti sarà d’accordo, perché assieme alla Provincia anche gli altri attori del sistema economico cerchino e trovino risposte a queste istanze di cambiamento. Siamo davvero convinti che tutto debba sempre ruotare attorno a quello che fa o non fa la Provincia?