«Al referendum di ottobre non si decide il destino personale di qualcuno, il mio o quello di Renzi. Si decide il futuro dell’Italia». Maria Elena Boschi lo dice dal palco dell’auditorium, nella sua prima apparizione al Festival dell’economia di Trento, dov’è arrivata ieri per convincere che la riforma costituzionale serve al Paese e per lanciare la campagna referendaria per il sì, prima tappa di una due giorni in terra di autonomia, ieri Trento, oggi Bolzano.
C. Bert, "Trentino", 6 giugno 2016
È passato in fondo solo un anno e mezzo da quel suo «Non è il momento per proporlo ma sarei favorevole all’abolizione delle Regioni a statuto speciale», pronunciato nel think tank amico della Leopolda renziana. Sollevò una bufera e la ministra delle riforme fece un rapido dietrofront. Oggi chiede anche alle autonomie di essere in campo a sostegno della riforma costituzionale che porta il suo nome: «Non possiamo essere tiepidi», avverte, «questa è una riforma che supera il bicameralismo perfetto, che garantisce stabilità di governo e leggi in tempi certi. Ma è anche una riforma - aggiunge - in cui abbiamo confermato le autonomie speciali, una scelta non scontata, e che introduce un regionalismo cooperativo e differenziato».
BASTA LARGHE INTESE. La numero due del governo Renzi, tailleur pantalone nero, immancabile tacco 12 (a spillo), è stata chiamata a un dibattito - moderato da Pierangelo Giovanetti - senza un vero contraddittorio, con il costituzionalista Michele Ainis, sostenitore moderato della riforma, e con il politologo Roberto D’Alimonte, che della riforma si autodefinisce «lo zio». Boschi spiega e argomenta, sempre con tono pacato. «Legittimo votare sì e votare no - ripete più volte - ma non ci sono rischi di derive autoritarie: «C’è sì un premio di maggioranza, ma limitato. Non cambia il sistema di governo, che resta un sistema parlamentare, e vengono rinforzati i contropoteri di presidente della Repubblica e Corte Costituzionale». Per la ministra significa «basta larghe intese e governi balneari che durano un anno e mezzo, altrimenti quale credibilità avremo? La stabilità di governo è la condizione non sufficiente ma necessaria per fare le riforme».
GOVERNATORI NEL NUOVO SENATO. La ministra spiega che il nuovo Senato avrà «un ruolo di modifica e proposta, non più un potere di veto». «Per dare risposte ai cittadini e alle imprese abbiamo bisogno di tempi certi per le leggi, oggi a volte non basta una legislatura per approvarle e il rimpallo continuo tra le due Camere diventa spesso un alibi, tanto poi c’è qualcuno che può intervenire ancora». E il potere di veto, ricorda Boschi, «è stato soprattutto quello dei partitini nelle coalizioni, nei governi Prodi è stato emblematico». «C’era bisogno di riordinare il rapporto tra le competenze dello Stato e quelle delle Regioni - insiste - ma il Senato non è stato abolito proprio per salvaguardare l’autonomia delle Regioni e io mi auguro che i governatori ne facciano parte per dare a questa Camera maggior peso politico».
RIFORMA DI TUTTI. Sa bene, la ministra delle riforme, che il sì può vincere se si eviterà la personalizzazione su Renzi e il governo che lo stesso premier ha innescato («Se vince il no me ne vado»). E allora il suo è un appello ripetuto: «Spero in una partecipazione che vada oltre i partiti, che investa la società. Questa riforma deve portare il nome di tutti, non il mio e di Renzi». E Ainis, che - tiene a precisare - non ha firmato appelli né per il sì né per il no, aggiunge che «i prossimi mesi saranno un occasione per riprendere confidenza con la Costituzione» e dunque «per recuperare il nostro senso della cittadinanza».
VINCERE FA PAURA. È uno scenario a tinte fosche quello che D’Alimonte dipinge in caso di vittoria dei no: «Renzi si dimetterà e si dovrà rifare la legge elettorale perché avremo l’Italicum maggioritario alla Camera e il proporzionale al Senato». Risultato: l’ingovernabilità. «La riforma assicura un vincitore (chi vince al primo turno con più del 40%, o al ballottaggio, prende 340 seggi contro i 278 di chi perde, ndr) e questo fa paura», dice, «ma Cameron in Inghilterra governa con meno del 40% dei voti». Lo zio della riforma previene la domanda sui 100 capilista bloccati: «I nomi li troveremo sulla scheda. Se ci piace votiamo per quel partito, se non ci piace non lo votiamo. Come nei collegi uninominali».
BALLOTTAGGIO RENZI-DI MAIO. Ed è sempre D’Alimonte ad assicurare che l’Italicum non è affatto una riforma pro-Renzi. «Le elezioni si vinceranno al ballottaggio - pronostica - e in un ballottaggio Renzi-Di Maio, il M5S sarebbe più competitivo perché più trasversale, più facile che i voti leghisti finiscano lì. Renzi lo sa. I ballottaggi si vincono con le seconde preferenze».
Scende in campo il popolo del sì. Dall’albergatore al sindacalista, "Trentino", 6 giugno 2016
C’è Quirino Purin, titolare del Crucolo della val Campelle, che dice: «La società questa riforma la vuole, è l’input a tutte le istituzioni a rimettersi in discussione, anche ai sindacati». E c’è il sindacalista della Fiom Cgil Michele Guarda (il suo segretario nazionale Maurizio Landini, per capirci, è schierato per il No): «Mi preoccupa lo scenario se vince il no - confessa - uno scenario greco, tornerà la speculazione, ci aspettano altre riforme Fornero. Giochiamo con il fuoco, l’Italia ha bisogno di riforme, e della stabilità per poterle fare».
E l’insegnante Maria Prodi, già assessora alla scuola alla Regione Umbria, nipote di Romano e moglie di Roberto Battiston capo di Samantha Cristoforetti, scuote la sala: «Non bisogna aver paura di governare». Per il lancio del comitato del sì alla riforma costituzionale con la ministra Maria Elena Boschi, ieri pomeriggio all’Hotel Trento è arrivata una folla che al Pd non si aspettavano: 300 persone che la sala non è riuscita a contenere, tanti sono rimasti in piedi. Politici, naturalmente, ma non solo.
Lo stato maggiore Dem, il senatore Vittorio Fravezzi (vicecapogruppo del Gruppo Autonomie, ma il suo partito, l’Upt, non c’era), l’ex governatore Lorenzo Dellai («Sono per una via trentina al sì, che passa per la valorizzazione dello Statuto»), il deputato Mauro Ottobre fresco di addio al Patt (assente) che ha ricevuto l’abbraccio della transfuga Patt Caterina Dominici, Tarcisio Andreolli, Mario Raffaelli, il consigliere provinciale della Ual Giuseppe Detomas, il segretario dei socialisti Alessandro Pietracci. E pezzi di società civile, le donne del comitato «Non Ultimi» che si batte per la doppia preferenza di genere (Giulia Robol, Donatella Conzatti tra le altre), il direttore dell’Asat Roberto Pallanch, il segretario della Cgil Franco Ianeselli, Donatello Baldo di Arcigay, cittadini comuni. Assente, nonostante fosse stato annunciato, il presidente di Confindustria Giulio Bonazzi. La ministra Boschi è accolta come una star: «Non possiamo essere tiepidi», è il suo appello finale, «al referendum serve un sì netto, è in gioco il futuro del Paese. Il dubbio è che chi sostiene il no miri all’instabilità, al ritorno alla palude, a nuove larghe intese».
L’apertura è affidata al sindaco di Trento Alessandro Andreatta: «La riforma costituzionale è la madre di tutte le riforme». Poi tocca al politologo Sergio Fabbrini: «Le riforme non sono né di destra né di sinistra. Servono al Paese, perché l’Italia ha bisogno di governi stabili e di responsabili delle decisioni». Il Pd pacificato post-congresso - che schiera i renziani (il senatore Giorgio Tonini e Elisa Filippi) al tavolo a scortare la Boschi - ancora una volta non ce la fa a parlare a una voce sola: in silenzio il segretario Italo Gilmozzi, parlano (oltre ad Andreatta) il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi («Non è una riforma contro le autonomie, a condizione che il Senato sia il luogo della responsabilità dei territori.
La sfida (messaggio a Patt-Svp?, ndr) non è più contrattare col governo con emendamenti dell’ultimo minuto»), il deputato Michele Nicoletti («Come possiamo essere presi sul serio se cambiamo governo ogni 8 mesi?»), l’assessora Sara Ferrari, infine Tonini («Le riforme servono a rendere più produttivo il Paese, cominciamo dall’alto»). Intervengono Fravezzi, Pietracci, l’ex parlamentare Sergio De Carneri. «La riforma è un’occasione per mettere a punto anche lo Statuto di autonomia, per riflettere su quello che ci tiene insieme», esorta il ladino Detomas. Chiude la ministra: 15 minuti di intervento a braccio senza una sbagliare nulla, neanche una minima incertezza. Poi saluta e scappa via, direzione Bolzano. Oggi c’è da convincere la Svp.