Michele Nardelli, "Corriere del Trentino", 29 novembre 2009 “Non ci saranno tagli sulla scuola”. Questo è il messaggio che viene dalla riunione della maggioranza in Consiglio provinciale. Ogni risparmio che verrà attuato grazie alla riorganizzazione dei piani di studio e alla razionalizzazione degli orari verrà reinvestito nella scuola e nella formazione.
I ministri Tremonti e Gelmini fanno cassa tagliando sulla formazione, la Provincia di Trento no. Il messaggio è forte e chiaro. C’è, a ben guardare, anche un secondo messaggio ed è il seguente. Il provvedimento di cui si sta animatamente parlando in questi giorni non è la riforma della scuola trentina. La vera riforma della scuola trentina è stata varata il 7 agosto 2006, è la LP n.5, conosciuta anche come “Legge Salvaterra” o, ancora, come “Legge sull’autonomia scolastica”. Una legge di grande profilo ma in larga parte inattuata ed anche a questo vanno ascritte le difficoltà di comunicazione che si sono evidenziate in queste settimane fra la Provincia Autonoma di Trento ed il mondo della scuola. L’obiettivo della legge 5 riguardava – in estrema sintesi – la valorizzazione delle autonomie scolastiche all’interno del sistema, riequilibrando il rapporto fra Provincia e istituzioni scolastiche a favore di quest’ultime. Vale la pena soffermarsi un attimo su questo secondo messaggio perché la situazione che si è venuta a creare con il piano Tremonti – Gelmini è pressoché analoga a quanto accadde con la Riforma Moratti che, in assenza di contromisure, avrebbe avuto pesanti conseguenze anche sulla scuola trentina. L’idea fu quella di dar vita ad una trattativa sulla base delle competenze “concorrenti” della nostra autonomia che portò alla firma del Protocollo d’intesa Pat – Miur. Attraverso il quale provare “ad attivare nella scuola elementare e media della Provincia autonoma di Trento percorsi di studio sperimentali finalizzati a favorire i processi di continuità e di orientamento e, nella scuola superiore, la riorganizzazione dei piani di studio a garanzia della differenziazione dei percorsi, in un sistema organico e integrato che facilitasse i passaggi fra i diversi ordini e indirizzi di studio”. In altre parole, nuovi spazi di sperimentazione che andavano nella direzione di rafforzare l’autonomia scolastica, ampliando le opportunità di sviluppo e di valorizzazione del modello di istruzione trentino. Il Protocollo d’intesa venne da più parti considerato un cedimento, anziché coglierne il valore di apertura di un innovativo scenario (al di là della gestione contraddittoria che poi se ne è fatta), quello stesso scenario che avrebbe in una certa misura messo le basi per la riforma della scuola trentina. Oggi ci ritroviamo in un’analoga situazione ma la lezione di sette anni fa – per nulla elaborata –non sembra essere servita granché e le posizioni si ripresentano cristallizzate. Di fronte ai tagli proposti dai ministri Tremonti – Gelmini la scelta deve essere quella di rilanciare “la scuola dell’autonomia”, volgendo a nostro favore la riorganizzazione dei piani di studio, non per far cassa ma per razionalizzare ed investire su alcuni punti qualificanti che sono:
- Il biennio comune per il sistema della scuola superiore. L’innalzamento dell’obbligo scolastico a sedici anni impone una base comune formativa che consenta agli studenti una maggiore flessibilità di scelta professionalizzante, visto che la scuola dell’obbligo deve avere carattere partecipativo, non selettivo e classista.
- L’ulteriore potenziamento della scuola professionale, che pure rappresenta una delle eccellenze del nostro territorio, per migliorare la formazione di base ed aprire ponti (piuttosto che passerelle) verso la maturità e l’università. So di andare controcorrente ma vorrei un sistema formativo nel quale uno studente che inizia una scuola per parrucchieri possa finire alla Sorbona.
- La trasformazione degli IPC (di fronte allo svuotamento della proposta Gelmini) come proposta di pari dignità fra i sistemi di formazione professionale e di istruzione.
- L’attivazione di percorsi di accompagnamento per gli studenti che passano dagli IPC agli istituti tecnici, affinché sia ridotto al minimo il gap formativo che ne può derivare.
- La piena valorizzazione degli investimenti operati negli istituti tecnici sulla sperimentazione laboratoriale.
Certo, i limiti delle competenze della nostra autonomia ci impongono di raccordare materie e programmi al sistema formativo nazionale, ma nessuno impedisce al sistema scolastico trentino di declinare tali competenze in maniera creativa.
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