«Il Brennero non sarà un’altra Idomeni»

La tratta Innsbruck-Trento da qualche mese non è più la stessa. Addio passaggio rapido della frontiera, addio trasporto di merci senza dogane. Al segnale del capotreno salgono in vettura decine di poliziotti in cerca di immigrati irregolari. I rapporti e la solidarietà vacillano, insieme a quella giovane istituzione, l’Euregio, che negli ultimi anni ha sempre più unito l’Austria all’Alto Adige e al Trentino.
F. Dossi, E. Carraro, "Trentino", 17 maggio 2016

 

Abbiamo intervistato Giuseppe Zorzi, docente di storia e filosofia a Trento e a Innsbruck, già presidente della fondazione Alcide Degasperi e oggi anche consigliere esperto negli affari euroregionali della Provincia di Trento, all’interno del progetto “Gect Trentino - Alto Adige - Tirolo”. Da anni attraversa più volte a settimana il valico del Brennero e lo ha visto trasformarsi da frontiera a semplice luogo di passaggio e oggi ancora in frontiera.

Non è che il viaggiatore un giorno al Brennero abbia visto improvvisamente un muro. Il cambiamento c’è stato, però: dapprima sono aumentati i controlli di polizia sui treni, poi è via via subentrata la percezione di una frontiera anche  "fisica". Per chi, come me,  ha una certa età, questa sensazione di ritorno al passato non è stata piacevole.

Probabilmente il numero di migranti in transito dalla frontiera resterà elevato; l’Austria prevede di applicare controlli molto severi. Si rischia la nascita di un campo profughi simile a Idomeni? No, non penso. Del resto a tutt'oggi noi non ci stiamo misurando con moltitudini in transito. È vero però che da parte austriaca, pur a fronte di un’oggettiva pressione ad est nelle settimane passate, e di una mancata risposta congiunta della Ue, si è voluto dare un segnale sul Brennero, come se si fosse già in piena emergenza. Così si sono creati più problemi che soluzioni, anche nei confronti degli stessi altoatesini.

Da febbraio il presidente della Provincia Rossi ha voluto avvalersi di lei negli affari euroregionali, tra Trento, Bolzano e Innsbruck, ma anche tra Roma, Vienna e Bruxelles. Perché è così importante questa Euroregione? Perché in un mondo sempre più globalizzato ma anche sempre più alla ricerca di identità territoriali, questa rende più forti e strategici tutti e tre i “Laender” che la compongono. E perché oggi, i problemi complessi non si risolvono indossando una casacca bianca oppure una nera e andando allo scontro, ma aprendo insieme “terze vie”  capaci di unire le forze migliori su un progetto comune in grado di creare futuro.

Dopo anni di impegno per valorizzare questo progetto, il risultato è messo a rischio dalla nuova politica austriaca? Se si fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa su Repubblica dal leader della destra austriaca Strache, riguardo una possibile autodeterminazione dell’Alto Adige, ebbene, obiettivamente sì. Certo, come dimostra l’attuale crisi politica a Vienna dopo le dimissioni del cancelliere Faymann, anche in Austria larghi settori della politica sono chiamati ad una forte azione di rinnovamento.

Il progetto del Gect prevede anche la collaborazione fra università e scambi fra licei. I giovani assumono dunque un ruolo centrale per mantenere vivi i rapporti euroregionali? Qui sta uno dei perni della strategia del Gect. Si vincerà questa grande sfida solo se si avrà il coraggio di innovare, garantendo ad esempio un’adeguata autonomia alle scuole. È inoltre essenziale la qualità della relazione personale tra docenti, studenti e funzionari, superando le pur necessarie procedure burocratiche. Perché il cuore della nostra autonomia è la responsabilità personale e collettiva. A maggior ragione, un giorno, a noi più anziani sarà chiesto anche questo: “quanti giovani hai saputo far crescere in tanti anni di lavoro?”. E per rispondere mi viene da citare uno dei padri dell'Europa, Jean Monnet: "Non sono né pessimista né ottimista. Sono determinato".